Rosario Livatino: quando la mafia uccise “una giustizia intrisa di fede”
Al Senato fa tappa la peregrinatio delle reliquie del “giudice ragazzino” assassinato nel settembre del 1990 dalla stidda. Il cardinale Parolin: “I mafiosi vivono in contraddizione. Quella loro non è religione cristiana ma un paganesimo prono al denaro anziché a Dio”
Roma – Le più alte cariche dello Stato, il numero due del Vaticano, Procuratori della Repubblica, vertici delle forze dell’ordine. Eppure, nella Sala Capitolare della biblioteca della Minerva, gli occhi sono tutti puntati su su una camicia bianca intrisa di sangue poggiata su due libri d’argento che sul dorso recano la scritta “Codice Penale” e “Vangelo”. Il resto è un contorno. I riflettori sono puntati su quel reliquiario che custodisce e mostra alla società odierna il sacrificio estremo di un uomo che ha dato tutto se stesso nella lotta alla mafia: Rosario Livatino.
Una camicia bianca intrisa di sangue. Non un segno di morte o di sconfitta, come verrebbe da pensare. Bensì, un segno di speranza per chi, oggi, quotidianamente, deve fare i conti con quegli uomini d’onore che con o senza bombe e pistole, continuano a lacerare non solo la Sicilia ma tutta la nazione.
Del resto, quella camicia bianca intrisa di sangue, in questi giorni in pellegrinaggio nelle parrocchie, nelle scuole, nelle caserme, nelle sedi di Ministeri e del Parlamento, riassume tutta la vita di un “autentico testimone dei valori della Repubblica”, le parole del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che vede in Livatino, il giudice ragazzino martirizzato dalla stidda nel 1990, un “esempio invita tutti a proseguire nella battaglia a difesa della legalità, rinnovando l’impegno a cui tutti siamo chiamati per contrastare ogni forma di criminalità, con la stessa coerenza e determinazione che hanno contraddistinto il suo agire”. E proprio di questo su questo si è discusso nel convegno “L’attualità del Beato Rosario Livatino”, svoltosi nella biblioteca del Senato alla presenza, tra gli altri, del vertice di Palazzo Madama, Ignazio La Russa.
Tra i primi a parlare il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, che, placcato dai giornalisti in piazza della Minerva, commenta così l’arresto di Messina Denaro: “Certamente l’arresto di Messina Denaro si può inserire come successo dello Stato. C’è stato un grande sforzo da parte delle forze dell’ordine. Non possiamo che compiacerci di questa conclusione”, che, per il numero 2 del Vaticano è un “punto di arrivo che segna la fine di tutta quella stagione che era già finita, ma mancava questo momento…. Speriamo davvero che si torni a vivere tutti nella legalità”. E chiosa: “Anche la scelta della delinquenza, la scelta della mafia, è una scelta di schiavitù sia per chi la vive che per le altre persone che sono vittime. Bisogna uscire da questo”.
Durante il suo intervento, invece, il porporato esordisce guardando al futuro: “E’ una figura importante, vale la pena farlo conoscere ai giovani”. Cita poi il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2023 di Papa Francesco: “Nessuno può salvarsi da solo”. Parole, afferma il cardinale, “che ci fanno leggere in un’altra chiave le cose che stanno accadendo nel mondo di oggi”. Quella camicia intrisa di sangue, infatti, segna l’inizio di un’epoca in cui la società si “de-cristianizza e si corrode dall’interno. Oggi – prosegue Parolin – vengono messi in discussione tutti i principi etici” proprio perché vi è “una crisi dello sguardo cristiano”.
Ma Livatino e la sua reliquia, sottolinea il Segretario di Stato vaticano, ci fa vedere l’importanza di una vita, anche all’interno delle Istituzioni, vissuta con fede. “Non disperava della redenzione dei mafiosi”, quelli stessi che “nonostante venerino santi e madonne”, col cristianesimo non hanno nulla a che vedere.
Quella camicia intrisa di sangue è un segno tangibile dell'”odium fidei che la stidda, ma anche cosa nostra, provavano nei confronti del giudice”. “Gli assassini e i loro capi – spiega il cardinale – agirono contro un cristiano tutto d’un pezzo. Chi uccise Livatino lo fece animato da un chiaro e irrefrenabile odio alla giustizia cristiana”.
Quello del giudice di Canicattì, fu “un delitto maturato in un contesto ostile all’etica della fede cristiana. Mandanti e esecutori agirono contro una giustizia intrisa di fede” rimarca Parolin, che sulla scia della scomunica pronunciata da Papa Bergoglio, fa notare come i mafiosi, nonostante si nascondano dietro una facciata di cristianesimo, ” continuano a vivere in contraddizione”. La loro, sottolinea il cardinale, è “un paganesimo prono al denaro anziché a Dio”.
Livatino, conclude il porporato, “appariva ai mafiosi un ostacolo insormontabile. Lo prendevano in giro perché la fede e la pratica religiosa pervasero la sua vita. Una persona integerrima che oggi, attraverso la sua morte, diventa seme di conversione per i suoi assassini. I mafiosi volevano uccidere un cristiano doc. Ma oggi egli resta vivo e col suo esempio ci fa palpitare il cuore”.
Altrettanto significative, le parole del sottosegretario del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano, che vede nei versi del profeta Isaia la descrizione di Livatino: “Egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce […], proclamerà il diritto con verità. Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano”. E infatti il giudice ragazzino, oggi beato, “parla con i suoi provvedimenti. In 12 anni di attività mai interviste, mai interventi in tv. Sarebbe riduttivo dire che manteneva il silenzio con i media. Il suo riserbo è stato per lui un riconoscimento dei limiti della giurisdizione”.
Mantovano legge quindi alcuni passi della poesia di Davide Rondoni “Per Rosario Livatino”, che recita: “Sub tutela Dei, scrivevi, ma che tutela Dio t’ha dato sul viadotto, nell’agguato… dove sei Dio che non tuteli i giusti? O forse li stringi a te, nel tuo sangue e corpo li innesti?”. “Dio – conclude il sottosegretario – era anche sul viadotto nell’agguato, lungo la scarpata, perché nel tuo martirio la nostra fame di giustizia come umiltà sia sempre tutelata. Quella camicia intrisa di sangue ci fa vedere il costo di proclamare il diritto della verità, il costo estremo. E’ Qualcosa da guardare come qualcosa davvero di sacro”. Per credenti e non.
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