Rebibbia, detenuto dà fuoco alla cella, poi tenta di uccidere il poliziotto che prova a salvarlo

30 gennaio 2023 | 15:36
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Rebibbia, detenuto dà fuoco alla cella, poi tenta di uccidere il poliziotto che prova a salvarlo

Di Domenico ( FP CGIL Polizia Penitenziaria): “L”agente, vivo solo grazie al suo sangue freddo, è stato messo volontariamente in pericolo”

Roma – “Nel Reparto G12 del carcere di Roma Rebibbia, ieri pomeriggio un detenuto ha incendiato la propria cella e poi ha rinchiuso dentro il poliziotto che lo aveva salvato e che stava spegnendo le fiamme”.

A darne notizia è il Coordinatore regionale Ciro Di Domenico della FP CGIL Polizia Penitenziaria, con continua : “Le fiamme sono divampate subito e un poliziotto è intervenuto con l’estintore per trarre in salvo il detenuto e spegnere l’incendio. Mentre il poliziotto era all’interno della cella, lo stesso detenuto che aveva appiccato l’incendio lo ha chiuso dentro la cella e si è allontanato lasciando l’agente tra fiamme e fumo nocivo. Nel frattempo, il fumo, aveva completamente invaso la camera di pernottamento avendo chiuso il ‘blindato’ in modo da non permettere al fumo di fuoriuscire, lasciando l’agente ad una morta certa essendo l’aria divenuta irrespirabile”.

“Il comportamento del detenuto – sottolinea Di Domenico – ha volontariamente messo in pericolo la vita del poliziotto che lo aveva appena salvato, lo stesso agente è riuscito a rimanere in vita solo grazie al suo sangue freddo, continuando a bagnare i propri indumenti sotto l’acqua del rubinetto. Per fortuna ora è fuori pericolo grazie all’intervento degli altri colleghi, ma è ancora ricoverato presso l’ospedale ‘Sandro Pertini’ per la grave intossicazione riportata”.

“Si tratta di un gesto sconsiderato quello del detenuto – ha aggiunto Mirko Manna, Nazionale FP CGIL Polizia Penitenziaria -. Chiediamo che vengano presi tutti gli interventi disciplinari e che la Magistratura valuti il tentativo lesivo della vita di un servitore dello Stato con la massima severità. A Pochi giorni dalle dichiarazioni d’intenti che il Capo DAP Giovanni Russo ha voluto rappresentare ai sindacati del Corpo di Polizia Penitenziaria, questo è il primo banco di prova per valutare se stiamo ancora alle chiacchiere oppure se la nuova amministrazione penitenziaria prospettata dal DAP, sia un inizio di percorso o solo ennesima campagna elettorale”.

Per dovere di cronaca, e a tutela di chi è indagato, ricordiamo che un’accusa non equivale a una condanna, che le prove si formano in Tribunale e che l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio.

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