Romani in festa a Trionfale, arriva il Papa: sorrisi, strette di mano e lacrime
Prima visita post-Covid di Papa Francesco in una parrocchia di Roma per l’iniziativa “24 ore per il Signore”. Stringe le mani a tutti e confessa alcuni fedeli: “Non c’è cosa più bella dell’abbraccio misericordioso di Dio”
Roma – “Una delle cose più belle di come ci accoglie Dio è la tenerezza dell’abbraccio che ci dà”. Al Trionfale esplode la festa per l’arrivo di Papa Francesco, che ha scelto la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie per tornare a far visita al suo gregge. Dopo lo stop imposto dalla pandemia, il Pontefice torna a ricevere l’abbraccio dei fedeli della sua diocesi, quella di Roma.
L’occasione è l’iniziativa “24 ore per il Signore”, negli anni scorsi sempre celebrata nella basilica vaticana. Ora, per la prima volta, Francesco sceglie di vivere quello che è uno dei momenti più intensi della Quaresima fuori casa. Al suo arrivo la folla radunata nel piazzale lo applaude con gioia. Prima col bastone e poi in sedia a rotelle, non si sottrae al calore dei fedeli che lo acclamano. Stringe le mani a tutti, si concede a quale selfie, scambia due parole con gli anziani.
Poi l’ingresso in chiesa, gremita: saluta i presenti, benedice i bambini, stringe le mani a preti, vescovi, suore. In prima fila c’è anche il cardinal Becciu, al momento sotto processo per lo scandalo del palazzo di Londra. Francesco prende posto in presbiterio e, prima di confessare alcuni dei presenti, riflette sulla vita di parrocchia: “Chi è troppo ricco di sé e della propria ‘bravura’ religiosa presume di essere giusto e migliore degli altri – quante volte in parrocchia succede questo: ‘Io sono dell’Azione Cattolica, io vado ad aiutare il prete, io faccio la raccolta…, io, io, io’. Tante volte i ‘cattolici puliti’, quelli che si sentono giusti perché vanno in parrocchia, perché vanno la domenica a Messa e si vantano di essere giusti: ‘No, io non ho bisogno di nulla, il Signore mi ha salvato’. Che cosa è successo? Che il posto di Dio l’ha occupato con il proprio ‘io’ e allora, anche se recita preghiere e compie azioni sacre, non dialoga veramente con il Signore”.
Come si dialoga con Dio? Facendogli spazio, come nella parabola del fariseo e del pubblicano, dove quest’ultimo “sta a distanza. Non cerca di farsi largo, rimane in fondo. Ma proprio quella distanza, che manifesta il suo essere peccatore rispetto alla santità di Dio, è ciò che gli permette di fare l’esperienza dell’abbraccio benedicente e misericordioso del Padre. Dio può raggiungerlo proprio perché, restando a distanza, quell’uomo gli ha fatto spazio. Non parla di sé stesso, parla chiedendo perdono, parla guardando a Dio. Quanto è vero questo anche per le nostre relazioni familiari, sociali ed ecclesiali”.
C’è vero dialogo quando sappiamo custodire uno spazio tra noi e gli altri, uno spazio salutare che permette a ciascuno di respirare senza essere risucchiato o annullato. Allora quel dialogo, quell’incontro può accorciare la distanza e creare vicinanza. Succede così anche nella vita di quel pubblicano: fermandosi in fondo al tempio, si riconosce in verità così com’è, peccatore, di fronte a Dio: distante, e in questo modo permette che Dio si avvicini a lui.
“Il Signore viene a noi quando prendiamo le distanze dal nostro io presuntuoso”, ribadisce Bergoglio, che invita tutti a fare un esame di coscienza: “Io sono presuntuoso? Mi credo migliore degli altri? Guardo qualcuno un po’ con disprezzo? Ti ringrazio, Signore, perché tu mi hai salvato e non sono come questa gente che non capisce nulla, io vado in chiesa, io vado a Messa; io sono sposato, sposata in chiesa, questi sono dei divorziati peccatori…”. E ammonisce: “Il tuo cuore è così? Andrai all’inferno. Per avvicinarsi a Dio, bisogna dire al Signore: ‘Io sono il primo dei peccatori, e se non sono caduto nella sporcizia più grande è perché la tua misericordia mi ha preso per mano'”.
Dio può accorciare le distanze con noi quando con onestà, senza infingimenti, gli portiamo la nostra fragilità. Ci tende la mano per rialzarci quando sappiamo “toccare il fondo” e ci rimettiamo a Lui nella sincerità del cuore. Così è Dio: ci aspetta in fondo, perché in Gesù Lui ha voluto “andare in fondo”, perché non ha paura di scendere fin dentro gli abissi che ci abitano, di toccare le ferite della nostra carne, di accogliere la nostra povertà, di accogliere i fallimenti della vita, gli errori che per debolezza o negligenza commettiamo, e tutti ne abbiamo fatti. Dio ci aspetta lì, nel fondo, ci aspetta specialmente quando, con tanta umiltà, andiamo a chiedere perdono nel sacramento della Confessione. Ci aspetta lì.
Secondo il Pontefice, “una delle cose più belle di come ci accoglie Dio è la tenerezza dell’abbraccio che ci dà”. E, rivolgendosi ai suoi fratelli confessori, rilancia l’appello che è diventato uno dei suoi mantra: “Per favore, fratelli, perdonate tutto, perdonate sempre, senza mettere il dito troppo nelle coscienze; lasciate che la gente dica le sue cose e voi ricevete questo come Gesù, con la carezza del vostro sguardo, con il silenzio della vostra comprensione. Per favore, il sacramento della Confessione non è per torturare, ma è per dare pace. Perdonate tutto, come Dio perdonerà tutto a voi. Tutto, tutto, tutto”. (Foto © Vatican Media)
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