Dalla Serie C allo Scudetto, il Napoli è Campione d’Italia 33 anni dopo Maradona
Un gol di Oshimen regala al Napoli il terzo Scudetto della sua storia 33 anni dopo Diego Armando Maradona. Spalletti piange, Kvara e compagni impazziscono, i tifosi sono in festa. Per un Tricolore frutto di genio e follia, ma anche di una programmazione duratura nel corso degli anni
Napoli – L’urlo di un popolo, rimasto in gola per mesi, adesso è finalmente pronto per esplodere per risuonare in tutta la Capitale partenopea e non solo. Il Napoli torna ad essere Campione d’Italia 33 anni dopo l’ultima volta, 33 anni dopo Diego Armando Maradona. Il Tricolore torna sotto l’ombra del Vesuvio tra lacrime, abbracci, commozione, incredulità. Chiunque abbia visitato Napoli o suoi più stretti confini, nelle ultime settimane, ha perfettamente chiaro come l’unico colore a dominare sia l’azzurro. Un colore che si vede ovunque ci si giri. Case, palazzi, bar, ristoranti: tutto preparato a festa. E, spesso, con la foto di Maradona a vegliare su di loro, affiancato dal numero “3” scolpito nello stemma tricolore.
In quello che è stato un romanzo, la cui trama ha previsto un dominatore incontrastato il cui unico avversario era solo se stesso e la propria scaramanzia, c’è chi ha tentato di interpretare la parte dell’anti-eroe. Questo è il ruolo che ha ricoperto la Salernitana quando, domenica, ha spezzato i sogni napoletani di festeggiare il Tricolore in casa propria: il muro alzato da Ochoa ed il gol spettacolare di Dia hanno dunque rinviato una festa che, tuttavia, è già iniziata da tempo. A tal proposito, va aperta una parentesi: la squadra di Paulo Sousa ha dato una lezione a coloro che, troppo spesso, si presentano su questi campi arrendevoli o da vittime sacrificali.
L’Udinese ci ha provato, andando addirittura in vantaggio e mettendo in grossa difficoltà il Napoli nel primo tempo. Perchè, in fondo, nessuno vuole essere la causa della festa altrui, ma alla fine basta un gol Victor Oshimen per portare il Napoli nei libri di storia calcistica. Il triplice fischio dell’arbitro, quello atteso da 33 anni, ha scolpito una pagina di storia indelebile. Una grande gioia per un popolo che, ogni giorno, ha a che fare con tante difficoltà ma che per qualche settimana (e chissà, forse mesi) potrà godersi un’enorme gioia. Una gioia che, anche se non viene abbastanza sottolineato, sarebbe stata possibile già lo scorso anno. Nella cavalcata finale che ha visto protagoniste Inter-Milan, con i rossoneri poi vincitori, ci si dimentica che il Napoli ha lottato fino a poche giornate dalla fine. Una gioia rimandata di un anno, di cui vale la pena approfondire la storia.
Quanti numeri!
Il Napoli torna ad alzare lo Scudetto, come già anticipato, a 33 anni di distanza dopo l’ultima volta. Si tratta del terzo Tricolore della sua storia, dopo quello del 1987 e del 1990.
In più, per gli amanti delle statistiche, il Titolo torna al centro-sud dopo ben 22 anni: le ultime due a riuscirci furono la Lazio nel 2000 e la Roma nel 2001. Dopo di che lo Scudetto è stato sempre conteso tra le 3 big del nord: Juventus, Inter e Milan.
I partenopei, inoltre, entrano nella ristretta cerchia delle squadre che hanno vinto lo Scudetto con 5 giornate d’anticipo (fin’ora un record ancora imbattuto). Va ad affiancare infatti il Torino (1948), la Fiorentina (1956), l’Inter (2007) e la Juventus (2019).
Luciano Spalletti, che vince il primo Scudetto della sua storia in Serie A (fin’ora l’unico lo aveva vinto all’estero, in Russia) è anche l’allenatore più anziano a trionfare: 64 anni. Scavalcato dunque Maurizio Sarri, che nel 2020 vinse con la Juve all’età di 61 anni.
Aprendo una parentesi oltre confine, il Napoli ha raggiunto per la prima volta i quarti di finale di Champions League. Mai prima d’ora, infatti, i partenopei erano riusciti ad andare oltre gli ottavi.
Numeri su numeri, insomma, che tuttavia non spiegano nemmeno tutto ciò che ha portato al trionfo azzurro.
Un trionfo non dettato dal caso
Il dominio incontrastato del Napoli non è stato nè un caso nè frutto di astri allineati, come spesso erroneamente si dice. Nessuna vittoria, specialmente una mai in discussione, arriva per caso. Ma è la ciliegina sulla torta di un percorso iniziato a fiorire, per assurdo, nell’estate 2004. Ovvero quando il Napoli, a causa della grave crisi finanziaria, portò i libri al Tribunale Fallimentare e dovette ripartire e rifondarsi dalla Serie C. Aurelio De Laurentiis, che ha da sempre un controverso rapporto di amore ed odio con i tifosi, lo preleva per la cifra di 32 milioni di euro.
Solo 2 anni dopo, nella stagione 2005/2006, il Napoli fa il suo primo salto: stravince il campionato di Serie C e vola in serie cadetta, in quella che è una delle Serie B piu’ difficili della storia. La stagione 2006-2007, infatti, è la prima venuta dopo il terremoto sportivo e giudiziario che ha preso il nome di Calciopoli. A farne le spese in particolare la Juventus che, ancora intrisa di campioni, venne retrocessa. Ciò, tuttavia, non fermò la cavalcata partenopea: il Napoli torna in Serie A e, dal 2007-2008, inizia la cavalcata. Nel 2011-2012 la squadra di De Laurentiis è allenata da Walter Mazzarri, ancora oggi nei cuori di tutti i tifosi del Napoli: solo il Chelsea impedì ai partenopei di raggiungere, addirittura, i quarti di finale della massima competizione europea.
Iniziano ad arrivare i primi campioni, nel corso degli anni. Lavezzi, Hamsik, Cavani, Higuain. Solo per citare quelli più recenti e che hanno indissolubilmente segnato la storia partenopea. Un crocevia della storia napoletana è proprio la cessione di Cavani al PSG per l’astronomica cifra (per quegli anni) di 66 milioni di euro. A sostituirlo arriva, come anticipato, il “Pipita” dal Real Madrid. Con la maglia azzurra, e soprattutto sotto la gestione di Maurizio Sarri, che è succeduto al non poi così esaltante Rafa Benitez. Higuain supera lo storico record di Nordahl, segnando ben 36 gol in una sola stagione di Serie A (2015-2016). Il suo rapporto con il Napoli, a causa di fortissime frizioni con De Laurentiis, si interruppe bruscamente nell’estate 2016, quando decide di passare alla Juventus (che lo paga 90 milioni di euro).
Da Higuain a Sarri, lo Scudetto mancato
Nel frattempo a Napoli si crea un gruppo che sarebbe rimasto da lì a molti anni. Alcuni nomi? Reina, Koulibaly, Albiol Jorginho, Allan, Zielinski, Callejon, Mertens ed Insigne. Tutti diretti da un meraviglioso direttore d’orchestra chiamato Maurizio Sarri, direttamente dalla Toscana. Nomi che, solo a leggerli, faranno rabbrividire pelle e cuori dei tifosi napoletani. E’ proprio quel gruppo, infatti, che va ad un passo dal Tricolore.
A proposito di Sarri: è sotto la sua ala protettiva che i napoletani sognano, questa volta ad occhi aperti, lo Scudetto nella stagione 2017-2018. Ovvero l’anno in cui Napoli si gode una meravigliosa esposizione artistica di calcio, in cui la squadra di Sarri sembra veramente un’orchestra perfetta. E la vittoria all’ultimo secondo contro la Juventus, con un colpo d’ariete di Koulibaly, sembra essere frutto della decisione del fato. Ma la settimana dopo, frutto dell’enorme pressione, il Napoli crolla e ne prende 3 a Firenze. La Juve vince lo Scudetto ed il sogno tramonta definitivamente. Sarri vola al Chelsea e questa è la botta definitiva di un progetto che sembra finito.
Ed effettivamente nemmeno un nome di prestigio come quello di Carlo Ancelotti, che nel 2018-2019 prese il posto proprio di Sarri, sembra poter cambiare le cose. I risultati non arrivano, voci parlano di un pessimo rapporto tra lui e De Laurentiis, addirittura la squadra si “ammutina”. Ed è proprio Ancelotti a farne le spese: venne incredibilmente esonerato a dicembre, sostituito da una sua conoscenza: Gennaro Gattuso.
Il Campione del Mondo rimane fino al 2021, senza mai effettivamente far innamorare il pubblico del San Paolo. “Ciliegina” sulla torta arriva all’ultima giornata della stagione 2020-2021, quando il Napoli pareggia incredibilmente col Verona e dice addio alla Champions League, facendosi scavalcare dalla Juventus. Un risultato difficile da pronosticare, ma forse coerente con la chiusura del ciclo, di cui forse ci si è accorti tardivamente.
Questo risultato sportivamente drammatico per i partenopei fa scattare la molla: già orfani di Reina, Albiol, Allan, Callejon, Jorginho e , Napoli saluta (oltre che Gattuso), anche Manolas e Hysaj, mentre in entrata arrivano Politano ed Anguissa.
Nel complesso però il Napoli qualche trofeo al cielo lo alza: 3 Coppe Italia e 2 Supercoppe. Non male, per iniziare. Si sono succeduti allenatori, tutti in precedenza citati. Ma De Laurentiis decide che il salto di qualità va fatto con uno che la Serie A la conosce perfettamente: Luciano Spalletti.
Il sogno diventa realtà
Il tecnico di Certaldo ha avuto una carriera altalenante, in cui ha mischiato colpi di genio a crolli improvvisi. Il curriculum parla di 2 Coppe Italia ed 1 Supercoppa vinta con la Roma, ed uno Scudetto vinto con lo Zenit San Pietroburgo, con cui vince anche Supercoppa e Coppa. Ma anche tanti, forse troppi, secondi posti. Nella sua carriera ha conosciuto piazze importanti: oltre le già citate Roma e Zenit, Spalletti si è seduto anche sulle panchine di Inter e Udinese. Oltre a ciò tanti, forse troppi, secondi posti e risultati mancati. Ed anche tanti “problemi” avuti con i leader: da Hulk allo Zenit ad Icardi all’Inter, passando a Totti nella Capitale. Una gestione, quest’ultima, che ancora molti romanisti non gli perdonano.
C’è chi lo considera un genio, chi ottimo per raggiungere la Champions, chi non adatto ad allenare una piazza desiderosa di vincere. Insomma, un personaggio divisivo. Come è sempre stato nella sua brillante e folle carriera. Tuttavia, Spalletti mette a tacere le critiche iniziando la stagione con 8 vittorie di fila in campionato: anche se silenziosamente, i tifosi iniziano a sognare. La squadra gioca bene, è solida e, trascinata dallo strepitoso centravanti Victor Oshimen, credono nel sogno. Spalletti fa da terzo in comodo in una Serie A dove, dopo tanto tempo, il derby della Madonnina è tornato a far da padrone. L’Inter di Inzaghi ed il Milan di Pioli, dunque, vogliono rovinare i sogni del Napoli. Che effettivamente si infrangono nel lunedì di Pasquetta, dove al Maradona fa solo 1-1 contro la Roma e perde il treno ad alta velocità su cui viaggiano le 2 milanesi. Per quanto riguarda l’Europa League il percorso napoletano s’interrompe presto, precisamente ai sedicesimi dove è costretto ad arrendersi al Barcellona. Il Napoli finisce comunque terzo in campionato e torna in Champions League.
Ora o mai più, la società capisce che c’è bisogno di un salto di qualità in più. E per farlo è necessario compiere scelte dolorose. E’ per questo che, in una botta sola, il Napoli perde Koulibaly, Fabian Ruiz, Mertens ed il capitano Lorenzo Insigne, che non è mai riuscito ad entrare nei cuori dei napoletani in modo unanime. Sparisce dunque il gruppo storico che per anni ha incantato i tifosi, ma che non è mai riuscito ad ottenere la gloria.
Al loro posto, De Laurentiis punta sullo sconosciuto (almeno agli occhi dell’opinione pubblica) difensore coreano Kim Min-Jae, il georgiano Kvicha Kvaratskhelia, Giacomo Raspadori e Giovanni Simeone. Arrivano anche, tra gli altri, Thomas Ndombelè e Mathias Olivera. Una rivoluzione come non si vedeva ormai da anni. Il popolo napoletano si spacca su questa decisione e si vede in particolare in estate, dove addirittura Spalletti viene fischiato e contestato nel ritiro estivo pre-campionato. Mentre gli osservatori si domandano se sarà in grado di “amalgamare” giocatori sconosciuti al grande pubbblico e al calcio italiano.
La risposta è presto data: oltre all’incredibile Oshimen, un vero e proprio leone del calcio, Kvaratskhelia, fa letteralmente impazzire tutte le difese ed alcuni azzardano importanti paragoni. Kim Min-Jae alza la muraglia e non permette di passare neanche alle mosche. Raspadori e Simeone si amalgano perfettamente e, quando conta, ci sono. A tal punto che nessuno si accorge che Oshimen non gioca per ben 2 mesi, talmente è perfetto lo spartito azzurro. La squadra di Spalletti incanta tutt’Europa: ne fa 4-0 al Liverpool al Maradona e 6 all’Ajax alla Cruyff Arena, tanto per dire. Il Napoli chiude il campionato prima della sosta forzata per i Mondiali in Qatar a +8 di distanza sulla seconda, ed in fondo già tutti in cuor loro sanno che questo Napoli è imprendibile. E lo conferma alla ripartenza della stagione, dove domina in ogni campo. Record su record, calcio champagne, un popolo in visibilio. Con la ciliegina che arriva all’Allianza Stadium, pochissime giornate fa, dove anche la Juve di Allegri è costretta a capitolare. E forse è li che gran parte del Tricolore viene già vinto. Nel frattempo il Napoli deve arrendersi al Milan ai quarti di finale di Champions.
Dopo quella vittoria, con 17 punti di vantaggio sulla Lazio (allenata proprio dall’ex Maurizio Sarri), ormai si fa solo il conto alla rovescia ed i calcoli matematici. Giusto per ingannare l’attesa. Le piazze sono già coperte di azzurro, le strade impossibili da prendere, un clima impossibile da calmare, una gioia vissuta l’ultima volta 33 anni prima. Il sogno sembra potersi concretizzare in casa con la Salernitana, anche grazie alla sconfitta della Lazio con l’Inter. Ma Dia ha altri piani, come sappiamo.
Ed allora bisogna aspettare qualche giorno e spostarsi un po’ più a nord, ad Udine. Dove va in scena l’ultimo atto di uno spettacolo ai limiti della perfezione, non senza tensione. Il gol di Lovric fa tremare i tifosi, che non vogliono più aspettare. E quando sembra che non c’è piu’ niente da fare è proprio Oshimen, l’uomo del destino, a regalare il Tricolore al Napoli, il terzo della sua storia. Una festa incontenibile: i giocatori sembrano non credere di essere entrati indelebilmente nella storia, Spalletti piange, De Laurentiis si prende la sua rivincita. E qui non c’è bisogno di chiedersi se “Fu’ vera gloria”. Non solo Udine è presa d’assalto da un bagno d’amore, dato che la partita si è giocata anche al Maradona. Dove un tutto esaurito ha occupato lo stadio con tanto di maxi-schermi e forse un pizzico di scaramanzia.
Il capitano del Napoli, Giovanni Di Lorenzo, ora si siede definitivamente a fianco di Diego Armando Maradona. Il perchè? Entrambi, con la fascia al braccio, sono riusciti nell’imprese di far sognare un popolo intero. Il resto, ormai, è storia. E a proposito del “Pibe de Oro” chissà, ovunque egli sia, quanto sta esultando. Ed il popolo napoletano guarda in cielo e chissà, forse piangendo. Sicuramente ringraziando chi ha reso immortale una piazza straordinaria. (Foto: Twitter @OfficialSSNapoli)