Zuppi striglia i vescovi italiani: “Vivere con lo stile della famiglia, non da funzionari anonimi”
Nella basilica di San Pietro la messa di chiusura della 77ma Assemblea Generale della Cei, il cardinal Zuppi: “Non lasciamoci mai guidare dagli interessi”
Città del Vaticano – Il popolo di Dio “ci chiede di vivere con lo stile e i sentimenti della famiglia, non da funzionari anonimi, anche zelanti ma con il cuore e gli affetti da un’altra parte o ridotti solo al proprio protagonismo o ruolo”. Dal pulpito della basilica di San Pietro, il cardinal Zuppi, nel presiedere la messa di chiusura della 77ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, striglia teneramente i vescovi del Bel Paese.
Il Presidente della Cei, ricordando l’episodio dei discepoli di Emmaus, che per quattro giorni hanno dibattuto sulla situazione della Chiesa in Italia e sulle sfide, di ieri e di oggi a cui laici e consacrati sono chiamati a rispondere (leggi qui), ammonisce i presuli: “Il Signore continua a farsi pellegrino (lui sì e noi no?), non si stanca di cercarci e spinge a metterci per strada per liberare da un destino senza comunità, per scaldare cuori spenti e farli ardere di amore e di speranza”.
In Italia, sottolinea Zuppi, “troviamo un popolo grande, che accoglie tutte le etnie perché popolo santo di Dio. Solo un cuore largo e cattolico ci aiuta da misure avare e paurose e a scoprire e riscoprire il mondo senza confini. Il mondo inizia sempre da ogni persona, da un incontro, scoprendola nella sua grandezza e unicità, amandola perché non è un’isola e non lo sia. Quanto c’è bisogno di amore gratuito, vero e non virtuale, legame umano e affettivo! È il legame che ci ha unito e ci unisce ai ‘tutti'”.
Il Presidente della Cei ripercorre a grandi linee la storia del processo di San Paolo, che lo porterà fino a Roma, dove troverà il martirio, riassumendo l’intera vicenda con due parole: coraggio e unità. Ed è a questo che la Chiesa italiana deve aspirare.
“Coraggio”, sottolinea, “è l’espressione di Dio, che conosce la fatica della testimonianza”, ma è anche “lo stimolo a trovare nuove vie di trasmissione della fede, ad annunciare il Vangelo in ogni circostanza, a non aver paura di prendere il largo. Tutto può cambiare e niente è impossibile a chi crede!”.
Il Vangelo non ha confini. E chi è pieno del Vangelo è libero dai confini, non perché dilata il suo io come avviene pericolosamente nel mondo, ma perché ama e non ha paura di cercare nuove terre, anche quelle non ancora esplorate da nessuno, anche quelle che potrebbero dimostrarsi ostili. Il Vangelo ci fa sentire a casa ovunque e tutto è reso da lui casa.
Il vero impegno, però, è quello dell’unità: “È la fatica benedetta di questi anni del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia: quella di camminare insieme, al passo con il Risorto e in dialogo con il mondo”. Ma, ammonisce severamente, “non c’è comunione senza l’azione dello Spirito e la nostra docilità a lasciarci guidare dallo Spirito e non dai piccoli interessi, dagli affanni di Marta, dai protagonismi che riempiono di orgoglio, dai programmi vuoti di amore che ci rendono sicuri ma lontani dai pellegrini”.
Coraggio e unità, precisa, “sono i due binari del percorso che la Parola di Dio ci indica oggi: il coraggio che solo l’amore può generare in noi, per ascoltare, discernere e decidere per Dio e per il bene della Chiesa; e l’unità. Cioè pensarsi insieme, a tutti i costi, non uguali, anzi ancora più diversi perché finalmente e liberamente se stessi perché in relazione gli uni agli altri. L’unità è santa e non a caso è sempre legata alla pace, perché la guerra inizia quando si accetta la divisione”.
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