L'INTERVISTA

Tragedia di Casal Palocco, parla il prof. Melotti: “La colpa non è dei social media nè dei giovani, ma di una società che ha incoronato l’effimero come valore”

16 giugno 2023 | 12:30
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Tragedia di Casal Palocco, parla il prof. Melotti: “La colpa non è dei social media nè dei giovani, ma di una società che ha incoronato l’effimero come valore”

Marxiano Melotti, professore di Sociologia all’Università degli Studi Niccolò Cusano, ha rilasciato una lunga intervista a ilfaroonline.it, in merito non solo alla tragedia di Casal Palocco ma anche, più in generale, sull’utilizzo dei social media nella società moderna

Ostia – “Quella che è successa a Casal Palocco, purtroppo, è una tragedia. Ma non si criminalizzino i social media. Prima sono arrivate le televisioni, poi i videogiochi ed infine i social: ognuno di questi strumenti è stato utilizzato per prendersela con i giovani, che in realtà sono le vere vittime di una società ormai in crisi“. A parlare è Marxiano Melotti, professore di Sociologia Urbana all’Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma, che ben conosce il X Municipio e la realtà che ogni giorno dobbiamo affrontare.

In una lunga ed interessante intervista telefonica con ilfaroonline.it, l’esperto ha tracciato un quadro, dal punto di vista sociale, sulla tragedia avvenuta a Casal Palocco dove un bambino di 5 anni ha perso la vita a seguito di uno scontro tra una Suv ed una Lamborghini (leggi qui). A bordo di quest’ultima c’erano dei noti Youtuber che, secondo quanto per ora ricostruito, si trovavano sul Suv per una challenge su YouTube. Notizia delle ultime ore è che il conducente della Lamborghini sia risultato positivo ai cannabinoidi.

Il professore però ha posto l’accento non solo sulla vicenda in sè, ma sui gravi problemi che sconvolgono l’attuale società.

Proprio sull’utilizzo dei social, utilizzati ormai in modo dirompente, il professore ha sottolineato: “Non me la sento di crocifiggere i social. Non sono qualcosa che è estraneo alla società, ma anzi ne rappresentano un punto centrale. E se c’è questo bisogno estremo di utilizzarlo, significa che sono importanti per la vita l’esistenza dei giovani: colmano alcune mancanze della società. Con i social, infatti, i ragazzi cercano di superare frustrazioni, il senso di esclusione: tutto ciò che la società oggi non è in grado di garantire” ha detto. Melotti poi ha precisato, con grande forza: “E’ sempre così facile criminalizzare i giovani: se non hai lavori stabili, se la vita è così precaria e se entri nel mercato del lavoro così tardi, i giovani si creano una società in cui in realtà sono protagonisti. Un modello in cui si sentono vincenti, pur non essendolo. E questo fa comodo a tutti” ha tuonato.

Ma cos’intende il professore con quest’ultima affermazione? E’ Melotti stesso ad avercelo spiegato: “Se c’è una responsabilità su questo, la colpa non è dei giovani che utilizzano i social, ma di chi non gli dà gli strumenti per affrontare la società. Ed in questo modo i ragazzi si buttano su una realtà virtuale di cui sono soddisfatti, così non impegnano il loro tempo a fare altro, come manifestare o contestare la politica. C’è una sorta di tacito accordo per cui ogni tanto va bene”. Un giudizio severo quello del professore, che però è determinato e preciso nelle sue spiegazioni: “A volte, poi, capitano incidenti, tragedie e cose terribile, come quella successa un paio di giorni fa a Casal Palocco. E allora nasce un po’ di dibattito con i benpensanti che si scandalizzano ed il mondo digitale torna ad essere diviso da quello cosiddetto ‘reale’. Ma per il resto del tempo, va bene a tutti” dice, aggiungendo: “Ci sono anche delle cose estreme, come determinate challenge pericolose. Ma attenzione: in molti casi si tratta di fake news, create proprio da quel senso di disprezzo di cui parlavo prima, come ad esempio ‘La Balena Blu’. Tante cose non sono state appurate”.

I social sono chiaramente centrali nella nostra lunga conversazione e non potrebbe essere altrimenti. Da giorni, infatti, si sente parlare di regolamentazione, di regole più severe e stringenti, del ruolo che effettivamente abbiano giocato in questa tragedia e non solo. “I social funzionano come narcotico. Come detto danno identità ed aiutano a superare delle frustrazioni, ma proprio questo gli impedisce di prendere consapevolezza di come i problemi nel mondo esistano. Un mondo che i giovani li esclude”. Ma questi strumenti di comunicazione sono, in realtà, solo gli ultimi di un lungo processo: “Di generazione in generazione se ne sono visti susseguire molti. 30 anni fa c’era chi se la prendeva con la televisione e poi con i videogiochi, come se fossero strumenti che alienassero i giovani. Poi è arrivata la dura condanna alla musica trap, che il pensiero dominante qualifica come un qualcosa che ‘mercifica le donne o veicola modelli negativi e violenti’. Ora invece tutti se la prendono con TikTok o YouTube. E se gli strumenti di critica cambiano, la realtà è sempre la stessa: da un lato il volersela prendere di continuo con i giovani, dall’altro la loro volontà di creare mondi alternativi e trovare forme di socialità” ha sottolineato.

E a proposito di regolamentazione, il professore ha le idee molto chiare sulla vicenda: “Regolamentare è sempre utile. Ma credo che nel caso specifico sia impossibile: non cambierebbe più di tanto la situazione. In un altro contesto limitare l’accesso dei giovanissimi a determinati contenuti, e dunque limitarle la distribuzione, si potrebbe fare. Ma per il resto mi sembrano provvedimenti poco produttivi. Anche perchè poi parliamo sempre di regolamentazione, ma alla fine non si riesce a regolamentare nulla: dal flusso dei migranti fino alla gestione dei BnB, passando per il turismo. E’ sempre opportuno governare i fenomeni, ma evidentemente o non lo sappiamo fare, e dunque è un problema politico-culturale, oppure sono problemi talmente complessi dove intervenire è spesso impossibile senza una visione ampia della realtà. Nello specifico puoi regolamentare i social, ma la società i problemi continua ad averli” sottolinea Menotti.

Come noto, gli youtuber si trovavano a bordo di una Lamborghini, una macchina che non solo è di lusso ma rappresenta anche un simbolo di ricchezza per chi la detiene. Ed è su questo fatto che Melotti traccia un quadro preciso: “L’utilizzo del Suv è significativo: una macchina di lusso, costosa, un’icona. Un elemento che rappresenta un sistema valoriale, basato sulla capacità d’icona e sullo status symbol: un giovane che riesce a spendere 1500 euro per prendere a noleggio una macchina come oggetto del desiderio. E l’inseguimento alla ricchezza è un qualcosa che dai social è stato estremizzato, ma in realtà è un modello culturale dalle generazioni precedenti e che i giovani hanno ereditato: il consumismo estremo considerato come un valore. I sociologi – spiega – lo chiamano ‘Aspirational Class‘ ed è utile per comprenderlo: non si parla più di classi sociali che comunque esistono, ma di una classe giovanissima che aspira al benessere, pur non essendolo in grado”.

Nella lunga intervista sono continui i riferimenti alle passate generazioni, ai problemi della società in cui viviamo, della percezione della realtà e della sua reale essenza. E a proposito dell'”Aspirational Class”, Melotti ha ribadito: “Vai a fare l’aperitivo, esibisci la tua macchina di lusso per dimostrare che, come gli altri, ce l’hai fatta. Ma in realtà non hai un vero lavoro, non hai genitori davvero ricchi alle spalle”.

Un qualcosa, per certi versi, drammatico: giovani costretti a dimostrare una ricchezza che non hanno per sentirsi appagati, inclusi nel mondo. Melotti ha definito la questione “molto triste: continuano ad esserci molti ricchi e troppi giovani che fanno finta di esserlo. Ed anche a proposito di quegli youtuber, ciò che si vede è solo un reality. Più in generale sui social ci facciamo sempre vedere sorridenti, vestiti bene, in pose sexy su spiagge tropicali. Ma in realtà non è vero: può capitare una vacanza, ma non è la nostra dimensione quotidiana. Ma quando diventa la nostra icona su Facebook o Instagram, diventa il nostro avatar con cui ci presentiamo al mondo. Niente di più, quindi, che un reality”.

“Sui social si mostra solo la felicità? In parte è vero, in altre no. Se è vero che la tendenza maggiore è quella di ostentare determinate cose positive, vengono utilizzati (anche se è un fenomeno minoritario) anche per dimostrare la propria rabbia e frustrazione. Ciò si vede nel fenomeno della politica e anti-politica attraverso i social“. Il sociologo ha posto poi l’accento su una questione di cui si parla sempre troppo poco, ovvero le note positive dei social media: “Sulle piattaforme i giovani possono mostrare le loro abilità, come la coreografia di un ballo particolare: è un modo per mettere in scena il proprio talento. E’ un prodotto che tutti possono vedere. E ciò stimola la creatività delle persone, anche se spesso viene bollato come stereotipo, ma anche la cultura è stereotipo e mainstream“.  I social possono essere dunque, come uno strumento su cui cercare di rompere gli schemi, mettendo in scena le proprie qualità, quando magari non hanno l’opportunità di mostrarlo altrove.

Come detto, il sociologo conosce molto bene anche il X Municipio. Un territorio che cerca di andare avanti tra mille difficoltà, che non naviga certamente nell’oro. E quando aumenta la povertà, può aumentare il rischio di voler in qualche modo evadere dai problemi quotidiani che attanagliano le persone. Ed è proprio su questo che il sociologo si sofferma: “E’ una bella domanda, molto complessa. Il concetto di periferie può essere pericoloso: esistono, ma allo stesso tempo non esistono”. Cosa intende dire? “La periferia è uno spazio mobile, non è solo ciò che si trova fuori dal centro. Si allontana, si avvicina, possono essere vicine o distanti dall’area centrale: è un fenomeno in continua trasformazione. L’Italia è in crisi e la povertà è in aumento, ma per paradosso gli spazi urbani sono in crescita costante. Ciò trasforma le periferie ‘tradizionali’ in nuove aree residenziali per nuove borghesie. Restano comunque aree periferiche e marginali: il territorio costiero di Roma in parte lo è”. Nello specifico, a proposito di Ostia ed il X Municipio, sottolinea che “la soluzione è combattere la povertà, non regolamentare YouTube, ed intervenire per rilanciare la scuola. E’ un’area dove ci sono problemi di povertà educativa ed una presenza di criminalità, prevalgono modelli culturali orientati al consumo e all’esibizione” dice il professore, soffermandosi sulle grosse differenze tra Ostia (e più in generale la periferia) ed il centro di Roma e di come viene vista dall’occhio esterno: “E‘ conveniente avere un’area periferica così. Al centro di Roma, nell’immaginario collettivo, funziona tutto, c’è la politica, c’è chi conta. In periferia invece, sempre secondo l’immaginario, c’è la droga, le famiglie clan, i problemi. E questo rassicura benpensanti e borghesie, come a dare l’idea che i pericoli siano altrove. Ostia i problemi ne ha e ci sono anche i clan, ma ciò non significa che a Roma non ci sia tutto ciò, come se ci fosse una linea di confine oltre la quale ci sono. Pensiamo al problema dell’immondizia, di cui è sommerso anche il centro”.

Poi, tornando alla tragedia avvenuta pochi giorni fa, Menotti spiega: “L’incidente è avvenuta a Casal Palocco. Un quartiere non degradato, ma nell’immaginario collettivo si è più verso Ostia che verso Roma. E quindi rimane una sorta di territorio dove tutto è possibile, in cui si vive con modelli valoriali alterati in cui i giovani fanno cose pazze: il caso ha voluto che l’incidente sia avvenuto lì e non 10 chilomeri più a nord” concludendo così la lunga intervista.

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