Mondiali di Atletica, Tamberi: “Valgo 2,40 e le Olimpiadi spingono un po’ più in là…”
Il campione iridato di salto in alto ha ritirato la medaglia a Budapest: “Non sono appagato”
Budapest – “Mi sono svegliato stanco, sono andato a dormire alle otto e mezza di mattina!…”. Il giorno dopo il trionfo, e poco prima della cerimonia di premiazione nella quale ha nuovamente infiammato la folla, Gianmarco Tamberi si gode a Casa Italia la meravigliosa vittorianel salto in alto ai Mondiali di Budapest. “Tra i complimenti più belli che ho ricevuto, ci metto quelli di chi dice che riesco a fare la differenza quando conta. Se c’è qualcosa che mi è mancato è stato saltare 2,40 e anche se non lo avevo detto prima, era il mio obiettivo della gara. So di poter valere questa misura, perché gli allenamenti prima dei Mondiali sono andati benissimo e mi possono fermare soltanto i dolori fisici”.
“Sono arrivato qui con tanta convinzione. C’erano punti interrogativi, perché poi non dipende solo da me: gareggio contro un extraterrestre, il mio amico Mutaz Barshim. Sapevo che avrei dovuto cogliere la possibilità di spiazzarlo e con il 2,36 alla prima ho ucciso la gara. Per me non esiste il rischio dell’appagamento: anche se giochiamo a pari e dispari, voglio vincere. Ci alleniamo per trovarci in quel giorno con tutte le carte in mano per portare a casa il successo, anche a un campionato italiano che non è la stessa cosa, ma quando perdi ti fa male allo stesso modo”.
Il tifo per Tamberi è travolgente ovunque,anche fuori dall’Italia, come accadeva per Usain Bolt? “Il paragone è un po’ esagerato, ma tra le mie qualità c’è sicuramente quella di rendere partecipe il pubblico allo stadio per farlo divertire, perché io penso a divertirmi. Ad esempio, se come ieri sera vedo una batteria, mi metto a suonarla perché se fossi a casa l’avrei fatto e quando sono in pedana voglio sentirmi a casa. Quando si vive il momento, si ha energia in più che viene trasferita al pubblico che vede una persona reale, un uomo con emozioni che sta affrontando una sfida e crea empatia”.
In riscaldamento l’asticella era a 2,30? “Sì, è vero e l’ho saltato, non l’avevo mai fatto prima in carriera. Ho avversari che fisicamente possono anche essere più forti di me, però dal punto di vista mentale cerco di essere un passo avanti e quel salto davanti a loro significava far capire che ero in gara per prendermi quello che volevo. Credo di aver destabilizzato parecchi di loro, anche se non quanto il 2,36 alla prima… e poi era proprio bello quel salto a 2,30!”, ride Gimbo.
Il primatista mondiale Javier Sotomayor ha detto che Tamberi e Barshim possono battere il suo record di 2,45 che è imbattuto da trent’anni. “Ci sono parecchi gradini prima di arrivare lassù. Non penso sia impossibile, la mia carriera mi insegna che quello che crediamo possibile è in qualche modo possibile, ma è molto lontano. Non lo metto tra i miei obiettivi attuali”.
Se il presidente del Coni Giovanni Malagò chiedesse di fare il Portabandiera a Parigi? “Sarebbe un onore immenso, il coronamento di una carriera, un premio che mi farebbe tantissimo piacere, anche se altri atleti se lo meritano almeno quanto me, se non di più. Con Malagò ho un bellissimo rapporto e lo ritengo ‘il’ presidente perché mette gli atleti nelle migliori condizioni possibili per fare sport e per questo devo ringraziarlo”.
A quando un figlio dalla moglie Chiara? “Ne abbiamo parlato più volte, stiamo insieme da quattordici anni, ma è una cosa da mettere da parte se si vuole puntare a un obiettivo, se devo fare qualcosa in più per stare davanti ad avversari che ritengo più forti di me. La mia vita è fatta di priorità, se avessi un figlio sarebbe quella la priorità, che adesso invece sono Chiara e Parigi”.
“Lo sport insegna tantissime cose, vedere atleti che hanno passato mesi di lavoro per raggiungere un obiettivo può trasmettere tanto. Fin da piccolo sono sempre stato molto competitivo, in ogni tipo di sfida non ho mai accettato la sconfitta, non ho mai imparato a perdere. Ho quasi più voglia di non perdere che di vincere, perché il dolore per una sconfitta può essere più grande del piacere per una vittoria”.
“L’infortunio ha cambiato la mia carriera in modo drastico, ha rovinato cinque anni della mia vita tra sofferenze e incubi, in cui ho scoperto di avere dentro di me tanta più forza di quella che credevo ma se potessi non sceglierei di farmi male. Quest’anno ho ritrovato la serenità e sono tornato a divertirmi. Ho l’impressione di essere ancora in crescita, perché sono esploso di nuovo con l’oro di Tokyo. Dopo una stagione post-olimpica complicata, quest’anno ho dimostrato a me stesso di valere 2,40. C’è un altro anno davanti, quello dei Giochi, che spinge gli atleti a fare qualcosa in più”.
“Era la prima volta che mia mamma Sabrina mi vedeva dal vivo a un Mondiale, ho cercato più volte il suo sguardo come quello di Chiara, di mio fratello Gianluca, dei miei amici: le persone importanti per me sanno quello che c’è dietro, anche se sono in sette riescono a darmi energia come uno stadio di 80.000 persone, fortunatamente li ho ripagati”.
Sei entrato nel gotha dei più grandi campioni di sempre dell’atletica italiana, dove spiccano tra gli altri i nomi diAdolfo Consolini, Sara Simeoni e Pietro Mennea? “Nomi enormi, mi fa piacere, ma faccio fatica a sentirmi paragonare a leggende dello sport. Penso a dare il massimo per raggiungere i miei prossimi obiettivi, vedremo a fine carriera a quale punto sarò”.
Le prossime gare? “Se non avrò problemi, ho in programma Zurigo, il 31 agosto, e poi di nuovo in Svizzera il 4 settembre a Bellinzona, ma non la finale di Diamond League di metà settembre a Eugene, che rischia di lasciare strascichi per la preparazione di un anno fondamentale, ancora più di quello che stiamo concludendo: ci saranno gli Europei in casa, a Roma, e poi le Olimpiadi di Parigi”.
(Fonte fidal.it)(foto@Grana/Fidal)
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