Addio a “re Giorgio” Napolitano, il Presidente dei record
È morto Napolitano. L’ex Presidente della Repubblica, ribattezzato “re Giorgio”, si è spento a Roma in serata. Per oltre 60 anni ha plasmato la scena politica italiana
Roma – Dopo la recente scomparsa di Silvio Berlusconi, l’Italia perde un altro assoluto protagonista che ha plasmato la politica del Bel Paese. Oggi, alle ore 19.45, presso la clinica Salvator Mundi al Gianicolo in Roma, è morto “re” Giorgio Napolitano, il presidente dei record, il primo Capo di Stato ed essere eletto per ben 2 mandati consecutivi. Unanime il cordoglio per “re Giorgio”, come venne chiamato durante la sua lunga permanenza al Quirinale.
Un soprannome coniato con una connotazione negativa da alcuni costituzionalisti e dal popolo del web per alcune “ingerenze” nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-Mafia e per alcuni “favoritismi” concessi a Berlusconi, come la firma del lodo Alfano. Fu poi il New York Times, in un editoriale, a “correggere” con un’accezione positiva il soprannome di “re Giorgio”. Per il quotidiano statunitense, infatti, la scelta del governo Monti dopo Berlusconi fu visto come un gesto d’affetto verso la democrazia italiana. Inoltre, agli occhi dei governi esteri, il “governo del presidente” Napolitano, come venne definito quello di Monti, godete del plauso di Obama, Merkel e dell’Ue.
Napolitano si è spento a Roma in serata, presso la clinica Salvadur Mundi al Gianicolo, dopo una lunga malattia all’età di 98 anni, compiuti il 29 giugno scorso. Da tempo l’ex Capo dello Stato presentava un quadro clinico particolarmente complesso e nelle ultime ore la situazione si era ulteriormente complicata. A maggio dello scorso anno, Napolitano era stato sottoposto ad un intervento chirurgico presso il San Camillo di Roma, dove era rimasto ricoverato per alcuni giorni.
All’Udienza Generale di mercoledì, Papa Francesco, appreso della condizione di salute, aveva dedicato pubblicamente una preghiera a Napolitano, definendolo “servitore della patria”. Oggi il decesso.
La carriera politica di Napolitano nasce negli anni dell’università e lo porterà prima alla presidenza della Camera dei Deputati, poi al Parlamento Europeo, fino ad approdare al Colle dopo Ciampi. Ebbe rapporti con tutti i grandi personaggi che calcarono il palco della scena politica italiana, da Togliatti a Berlinguer, fino, per l’appunto, a Berlusconi. Una storia lunghissima che ha portato Napolitano ad essere uno dei personaggi più controversi della storia repubblicana del Bel Paese.
Gli anni nel Partito comunista italiano
Napolitano nacque a Napoli il 29 giugno 1925 da una famiglia liberale e d’alta borghesia, 3 anni dopo l’inizio del ventennio fascista. Fu proprio in terra partenopea che iniziò i suoi studi scolastici, conseguendo poi il diploma a Padova. Appassionato di arte, cultura e teatro, a Napoli ci tornerà all’inizio degli anni ’40, periodo in cui studia Giurisprudenza all’Università Federico II di Napoli e dove, soprattutto, iniziò la sua militanza politica.
Entrò infatti a far parte del Gruppo Universitario Fascista di Napoli (Guf), collaborando con il settimanale IX Maggio dove tenne una rubrica di critica teatrale, sfruttando la sua passione per l’arte, la cultura. Molti anni dopo Napolitano spiegò il perchè di entrare nei Guf, scelta inizialmente può apparire in contraddizione con la sua storia. In un celebre articolo pubblicatoun articolo del 2006 di Edmondo Berselli. In quell’occasione, lo definì “un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste, mascherato e fino a un certo punto tollerato“. Fu proprio durante gli anni universitari che conobbe i primi esponenti comunisti della sua giovane vita, anche tra gli ambienti del Guf.
Napolitano si iscrisse al Partito comunista italiano (Pci) nel 1945, anno della fine della seconda guerra mondiale, di cui divenne esponente di spicco occupando svariati incarichi prestigiosi
E se inizialmente si collocò tra i radicali, cambiò la sua visione dopo un lungo processo interiore, come spiegato nella sua autobiografia. All’interno del partito Napolitano, infatti, si collocò poi tra i “riformisti”, ovvero la corrente che si oppone a quella rivoluzionaria ed anti-capitalistica: è infatti a favore delle riforme in collaborazione con i socialisti. Addirittura fondò una sua corrente: “I miglioristi”. E se furono ottimi i rapporti con Palmiro Togliatti, che decise di dare grande fiducia a lui e ad altri giovani, Napolitano ebbe forti contrapposizioni con Enrico Berlinguer, quest’ultimo reo secondo Napolitano di spostarsi “troppo” a sinistra e di non coinvolgere adeguatamente i socialisti.
Uno dei momenti cruciali della storia non solo di Napolitano ma del Pci e del comunismo internazionale, fu l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica del 1956: i vertici del Pci si schierarono a favore dell’intervento, bollando come “controrivoluzionari” i moti ungheresi. Ed anche Napolitano seguì questa linea.
Quando poi il Pci si sciolse, divenne funzionario e poi dirigente fino alla costituzione del Partito democratico della sinistra (Pds) nel 1991, cui rimase iscritto in seguito.
Una vita in politica
Napolitano bruciò le tappe: eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati nel 1953, ci restò per ben 10 legislature (esclusa la IV) fino al 1996. Nell’ottava e nona legislatura presiedette il gruppo dei comunisti della Camera, mentre negli anni ’80 si impegnò in particolare sui problemi della politica internazionale ed europea, sia nella Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, sia come membro (1984-96) della delegazione italiana all’Assemblea dell’Atlantico del Nord, sia attraverso varie iniziative di carattere politico e culturale.
Nel 1992, a seguito delle elezioni che videro trionfare la Democrazia Cristiana, Napolitano venne eletto Presidente della Camera: erano gli anni di Tangentopoli, della crisi della Prima Repubblica e della sua fine, dei finanziamenti illeciti i partiti: gli anni, insomma, in cui i grandi partiti di massa scomparvero, con il rapporto politica-magistratura sul piede di guerra. E anche Napolitano giocò un ruolo, nella sua veste di Presidente della Camera.
Il 2 febbraio 1993 a Montecitorio si presentò un ufficiale della Guardia di Finanza, con un ordine di esibizione di atti: esso si riferiva agli originali dei bilanci dei partiti politici. Ma il Segretario Generarale, su ordine dello stesso Napolitano, si trincerò dietro l’immunità di sede, ovvero che solo il Presidente della Camera (o del Senato) può autorizzare l’ingresso della forza pubblica all’interno dell’Aula. In poche parole, Napolitano impedì a quel finanziere di controllare quegli atti.
Durissimo fu poi, in quel momento storico, il suo rapporto con Bettino Craxi, già presidente del Consiglio e all’epoca leader del Psi. L’ex Premier infatti finì al centro dell’inchiesta Mani Pulite (o Tangentopoli, che dir si voglia) ed accusò, neanche troppo velatamente i comunisti, di esserci dentro anche loro. Napolitano, nella sua veste di numero 1 della Camera, decise di rompere gli schemi: ordinò che la Camera, che avrebbe dovuto votare per l’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi, non più tramite voto segreto, ma palese. Un’autentica rivoluzione che non fu presa bene (si fa per dire…) dal leader del Psi.
Insomma una carriera parlamentare, quella del futuro Re Giorgio, movimentata. Mantenne la carica di Presidente della Camera fino al 1994 quando l’allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, decise di sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni.
Elezioni in cui presero il volo alcune realtà, ma anche grosse novità. Tra le prime ci fu la Lega Nord guidata da Umberto Bossi, che cavalcò l’ondata di malcontento della popolazione ancora scottata da Tangentopoli, aumentando di molto il numero di parlamentari. La novità assoluta invece fu Forza Italia, la ”creatura” di Silvio Berlusconi. E fu proprio il partito azzurro che stravinse quelle elezioni, dando il via alla seconda Repubblica. E’ doveroso citare questo episodio per poter ricordare un aneddoto, vista anche le recente scomparsa del Cavaliere. Fu proprio il deputato Napolitano, per conto del Pds, pronunciò il discorso di sfiducia del Governo Berlusconi. Il Cav, di tutta risposta, andò poi a stringergli la mano: difficile stabilire se si trattasse di un fantastico colpo di teatro o se fosse stato realmente colpito dalle sue parole, ma ciò non toglie che fu un grande momento di alta politica. Molti anni dopo, Napolitano e Berlusconi incroceranno nuovamente le proprie strade, su un tema potenzialmente drammatico.
Una volta caduto il Governo Berlusconi si andò a votare già nel 1996 e stavolta vinse la coalizione di centrosinistra dell’Ulivo guidata da Romano Prodi, che poi prese posto a Palazzo Chigi, mentre Napolitano venne nominato ministro dell’Interno: si trattò del primo esponente dell’ex Pci a ricoprire la carica di inquilino del Viminale. L’incarico durò solo 2 anni dato che poi il Governo Prodi cadde.
Nel 1999, allora, si fece eleggere al Parlamento europeo: si trattò di un ritorno, avendo occupato un seggio a Strasburgo già dall’89 al ’92.
Quirinale: il primo mandato
Il 10 maggio 2006 fu un giorno storico per la politica italiana, Alla quarta votazione, è eletto undicesimo Presidente della Repubblica, con 543 voti su 990 votanti dei 1009 aventi diritto. Napolitano divenne il primo esponente del Partito comunista italiano (ed ancora oggi è così) a salire al Quirinale. Un finale da oscar per una carriera politica longeva, ma probabilmente neanche lui avrebbe immaginato che sarebbe durato più del previsto…
Come ogni Capo dello Stato, anche lui dovette affrontare varie crisi di Governo. Nel 2007 Romano Prodi, a capo del suo secondo Governo, rassegnò le dimissioni a causa di una mancata fiducia al Senato. Napolitano provò a spedirlo a rinviarlo alle Camere, ma il tentativo fu vano: il 1′ febbraio firma il decreto di scioglimento delle Camere.
Tuttavia non fu questa la peggior crisi che dovette affrontare. Nel 2010-2011 infatti esplose in Europa la crisi del debito sovrano, con l’Italia che la soffrì più di chiunque a causa dello spropositato debito pubblico nostrano. Si verificarono attacchi speculativi sui Titoli di Stato italiani, lo spread raggiunse cifre folli. L’Italia rischiò la bancarotta.
Da Francoforte, Palazzo Chigi ricevette una lettera da Trichet e Draghi (il primo all’epoca governatore della Bce, il secondo sarebbe stato il suo successore) in cui si chiedono, in sostanza, forti tagli alla spesa pubblica. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, perse la maggioranza assoluta alle Camere. Il Cavaliere, ormai alle strette, concordò con Napolitano che si sarebbe dimesso dopo l’approvazione della legge di Bilancio. E lo fece: la manovra venne approvata il 12 novembre 2011 e, subito dopo, si recò al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Al suo posto arrivò il super-tecnico Mario Monti, nominato pochi giorni prima da Napolitano senatore a vita. Il Capo dello Stato fu in prima linea e fece molte telefonate durante la formazione di questo Governo, dando un impulso decisivo e fondamentale. E’ per questo che il New York Times, in un editoriale del 2 dicembre 2011, lo chiamò “Re Giorgio“, con un chiaro rimando a Re Giorgio VI del Regno Unito.
La ri-elezione
Il Governo Monti arrivò fino a fine legislatura, quindi 2013, anno in cui si svolsero nuove elezioni. Ma dalle urne uscirono risultati che, di fatto, “bloccarono” l’azione parlamentare. La coalizione di centrosinistra ottenne il 29,55, quella di centrodestra il 29,18% ed il Movimento 5 Stelle (che non volle allearsi con nessuna delle 2 e che si presentò da solo) fu il primo partito con il 25,56% dei voti. Nessuno, dunque, ebbe i numeri necessari per poter governare, un fatto mai accaduto prima di allora. Ed in quell’anno si sarebbe dovuto eleggere anche il nuovo Presidente della Repubblica, essendo scaduto il mandato settennale di Napolitano.
Essendo necessaria un’ampia maggioranza per l’elezione del Capo dello Stato (che non sarebbe stata trovata, come si evince dai risultati elettorali) gran parte delle forze politiche (non il M5S) decisero di sondare la disponibilità di Napolitano per un secondo mandato. Re Giorgio all’epoca aveva 88 anni, ma decise comunque di accettare viste le difficoltà politiche. Ma con un punto su cui non si discostò: si sarebbe dimesso non appena la situazione politica si sarebbe assestata, e comunque fino a quando le sue forze fisiche non fossero troppo calate a causa dell’età. Insomma, fece capire immediatamente che altri 7 anni al Quirinale non li avrebbe fatti.
E così accadde. Il 23 aprile 2013, alla sesta votazione, Napolitano divenne il primo Presidente della Repubblica ad essere eletto per 2 mandati di fila, con 708 voti su 1007 aventi diritto: rotta dunque la prassi per cui ad un Capo dello Stato ne sarebbe dovuto succedere uno diverso. Per un piccolo periodo si aprì anche un dibattito se ciò fosse legittimo o meno, ma la Costituzione non vieta la ri-elezione.
A causa della difficilissima situazione politica, Napolitano affidò ad Enrico Letta (Pd) di formare un “governo di larghe intese”. Venne infatti sostenuto dal Pd e Pdl-Forza Italia. Rimasero all’opposizione il M5S, la Lega Nord e la neonata Fratelli d’Italia, guidata da una ruspante Giorgia Meloni.
Il Governo guidato da Letta tuttavia durò pochi mesi: fu lui stesso a dimettersi dopo che lo richiesero “ufficialmente” i vertici del Pd. Napolitano accolse le dimissioni e nominò, al suo posto, Matteo Renzi. E fu proprio con Renzi che Napolitano ebbe un rapporto stretto dal punto di vista istituzionale.
Re Giorgio infatti si espresse più volte a favore della Riforma costituzionale voluta dall’allora Presidente del Consiglio, in particolare il superamento del bicameralismo che, a detta anche di Napolitano, paralizza l’attività parlamentare. Nonostante ciò però quella Riforma che però venne ampiamente bocciata dal referendum del 4 dicembre 2016, e Napolitano criticherà molto il Premier per averlo “personalizzato” troppo. Ma comunque oltre a ciò, il Governo Renzi fu l’ultimo con cui Napolitano ebbe a che fare.
La situazione politica si stabilizzò e, come concordato, Giorgio Napolitano rassegnò le dimissioni il 14 gennaio 2015, preannunciate nel suo ultimo messaggio di fine anno, il 31 dicembre 2014. E come per chiunque abbia ricoperto la carica di Presidente della Repubblica, divenne senatore a vita.
Fu questo il canto del cigno di una carriera politica straordinaria per temperanza e longevità: e se è certamente stato un personaggio controverso e a tratti divisivo (in fondo non potrebbe non essere così, considerati i tantissimi anni ai vertici del potere), non c’è dubbio che abbia inciso in maniera indelebile il proprio nome sulla scena politica italiana.