La Chiesa sinodale secondo Francesco: “Un porto di misericordia, serva degli ultimi”
Nella basilica vaticana il Papa presiede la messa conclusiva della prima sessione del Sinodo sulla sinodalità. E tuona: “Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo, ma amare Dio e il prossimo: ecco il cuore di tutto”
Città del Vaticano – “Questa è la Chiesa che siamo chiamati a sognare: una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi. Una Chiesa che non esige mai una pagella di ‘buona condotta’, ma accoglie, serve, ama. Una Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia”.
All’indomani del termine dei lavori della prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (leggi qui), Papa Francesco presiede nella basilica di San Pietro la messa conclusiva del Sinodo. Un Sinodo durato quattro settimane che ha prodotto un documento finale diviso in tre parti e articola in 20 punti. Ogni punto, a sua volta, è diviso in tre paragrafetti, tutti con lo stesso titolo: “Convergenze”, “Questioni da affrontare” e “Proposte” (leggi qui).
Davanti a 5mila i fedeli, tra i canti che riecheggiano tra i marmi antichi del tempio, sfilano i padri sinodali. Il Papa, anche stavolta, salta la processione iniziale e attende Vescovi e Cardinali davanti al baldacchino del Bernini. Nell’omelia, il Pontefice è a loro che si rivolge: ai compagni di viaggio di questo “tratto di cammino”.
E, commentando il brano evangelico odierno, ovvero la pagina di Matteo in cui Gesù risponde con il “comandamento dell’amore” alla domanda “Qual è il grande comandamento?” (cfr Mt 22,36), ribadisce che quanto svolto in questo mese di discussioni non è paragonabile a un Parlamento: “E’ importante guardare al ‘principio e fondamento’ da cui tutto comincia e ricomincia: amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come sé stessi. Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo, ma amare Dio e il prossimo: ecco il cuore di tutto. Ma come tradurre tale slancio di amore?”. Nel rispondere, Bergoglio riflette su due verbi: adorare e servire.
Amare è adorare
L’adorazione, ribadisce il Papa, che da tempo rimarca questo concetto, “è la prima risposta che possiamo offrire all’amore gratuito e sorprendente di Dio. Perché è stando lì, docili davanti a Lui, che lo riconosciamo Signore, lo mettiamo al primo posto e ritroviamo lo stupore di essere amati da Lui. Lo stupore dell’adorazione è essenziale nella Chiesa”. E spiega: “Adorare significa riconoscere nella fede che solo Dio è il Signore e che dalla tenerezza del suo amore dipendono le nostre vite, il cammino della Chiesa, le sorti della storia”.
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Cita poi il cardinal Martini, il quale affermava che “la Scrittura è severa contro l’idolatria perché gli idoli sono opera dell’uomo e da lui sono manipolati, mentre Dio è sempre il Vivente, ‘che non è fatto come lo penso io, che non dipende da quanto io attendo da lui, che può dunque sconvolgere le mie attese, proprio perché è vivo. La riprova che non sempre abbiamo la giusta idea di Dio è che talvolta siamo delusi: mi aspettavo questo, mi immaginavo che Dio si comportasse così, e invece mi sono sbagliato. In tal modo ripercorriamo il sentiero dell’idolatria, volendo che il Signore agisca secondo l’immagine che ci siamo fatta di lui’. È un rischio che possiamo correre sempre: pensare di ‘controllare Dio’, di rinchiudere il suo amore nei nostri schemi”.
Al contrario, “il suo agire è sempre imprevedibile e perciò domanda stupore e adorazione”. E, con riferimento a quel mondo di pensare secondo il mondo che il Papa ha voluto tenere fuori dai lavori del Sinodo, tuona: “Sempre dobbiamo lottare contro le idolatrie; quelle mondane, che spesso derivano dalla vanagloria personale, come la brama del successo, l’affermazione di sé ad ogni costo, l’avidità di denaro, il fascino del carrierismo; ma anche quelle idolatrie camuffate di spiritualità: le mie idee religiose, la mia bravura pastorale… Vigiliamo, perché non ci succeda di mettere al centro noi invece che Lui. E torniamo all’adorazione. Che sia centrale per noi pastori: dedichiamo tempo ogni giorno all’intimità con Gesù buon Pastore davanti al tabernacolo”.
La Chiesa sia adoratrice: in ogni diocesi, in ogni parrocchia, in ogni comunità si adori il Signore! Perché solo così ci rivolgeremo a Gesù e non a noi stessi; perché solo attraverso il silenzio adorante la Parola di Dio abiterà le nostre parole; perché solo davanti a Lui saremo purificati, trasformati e rinnovati dal fuoco del suo Spirito. Fratelli e sorelle, adoriamo il Signore Gesù!
Amare è servire
Il secondo verbo su cui riflette il Papa è servire. “Nel grande comandamento Cristo lega Dio e il prossimo – sottolinea Francesco -, perché non siano mai disgiunti. Non esiste un’esperienza religiosa autentica che sia sorda al grido del mondo. Non c’è amore di Dio senza coinvolgimento nella cura del prossimo, altrimenti si rischia il fariseismo”.
E ammonisce: “Magari abbiamo davvero tante belle idee per riformare la Chiesa, ma ricordiamo: adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere Chiesa adoratrice e Chiesa del servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli e degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri”.
Il pensiero del Santo Padre va “a quanti sono vittime delle atrocità della guerra; alle sofferenze dei migranti, al dolore nascosto di chi si trova da solo e in condizioni di povertà; a chi è schiacciato dai pesi della vita; a chi non ha più lacrime, a chi non ha voce. E penso a quante volte, dietro belle parole e suadenti promesse, vengono favorite forme di sfruttamento o non si fa nulla per impedirle. È un peccato grave sfruttare i più deboli, un peccato grave che corrode la fraternità e devasta la società”.
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I cattolici, al contrario, devono “portare nel mondo un altro lievito, quello del Vangelo: Dio al primo posto e insieme a Lui coloro che Egli predilige, i poveri e i deboli”. Da qui il sogno di una Chiesa “serva di tutti, serva degli ultimi. Una Chiesa che non esige mai una pagella di ‘buona condotta’, ma accoglie, serve, ama. Una Chiesa dalle porte aperte che sia porto di misericordia”.
La Chiesa sinodale
Concludendo l’Assemblea sinodale, Francesco saluta padri e madri sinodali ricordando loro che in queste settimane di “conversazione dello Spirito”, “abbiamo potuto sperimentare la tenera presenza del Signore e scoprire la bellezza della fraternità. Ci siamo ascoltati reciprocamente e soprattutto, nella ricca varietà delle nostre storie e delle nostre sensibilità, ci siamo messi in ascolto dello Spirito. Oggi non vediamo il frutto completo di questo processo, ma con lungimiranza possiamo guardare all’orizzonte che si apre davanti a noi: il Signore ci guiderà e ci aiuterà ad essere Chiesa più sinodale e missionaria, che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo, uscendo a portare a tutti la consolante gioia del Vangelo”.
“Grazie per il cammino fatto insieme, per l’ascolto e per il dialogo. E nel ringraziarvi vorrei fare un augurio a tutti noi: che possiamo crescere nell’adorazione di Dio e nel servizio del prossimo. Il Signore ci accompagni. E avanti, con gioia!”, conclude il Papa.
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