6 gennaio 1980: quando la mafia uccise Piersanti Mattarella
Piersanti Mattarella, fratello del Presidente della Repubblica, venne assassinato da un sicario su ordine di cosa nostra. Ma la verità, 44 anni dopo, ancora non è emersa del tutto
Palermo, 6 gennaio 2024 – Domenica 6 gennaio 1980, Palermo. Nell’aria si respira l’odore dei dolci della Belfana, che ha portato le calze ai bambini, mentre i genitori si godono le ultime ore di vacanza. E per la maggior parte degli italiani è ancora andare abitudine andare a Messa, la domenica. Così fa anche il presidente della Regione Sicilia ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana, Piersanti Mattarella che, decide di recarsi in chiesa. Lì, però, non arriverà mai: un sicario si avvicina all’automobile e lo fredda con colpi di rivoltella calibro 38 attraverso il finestrino. Dopo i primi colpi, il killer si fa consegnare un’altra pistola da un suo complice, quest’ultimo in una macchina poco più avanti, per poi tornare e sparare altri colpi. Irma prova a proteggere il volto di suo marito, e questo le costa una ferita alla mano. Una giornata di festa che si trasforma in una tragedia in grado di sconvolgere non solo Palermo e la Sicilia, ma tutta l’Italia, alle prese con la difficilissima lotta alla mafia.
Chi ha qualche capello bianco in più certamente ricorda quelle immagini tra lacrime, stupore e paura. Piersanti era in compagnia della moglie Irma, come detto, ma anche della suocera Franca e della figlia Maria. E una volta appresa la notizia, sul posto si precipita anche suo fratello Sergio Mattarella. Che, parecchi anni dopo, sarebbe diventato Presidente della Repubblica. Ma in quel momento, nonostante già fosse avvocato ed accademico, altro non era che un fratello distrutto nell’anima. Ed è ancora impressa nel cuore dei siciliani, a distanza di 44 anni, la storica immagine in cui Sergio tiene in braccio Piersanti, ormai morto.
Il contesto storico
L’omicidio di Mattarella coincise con un periodo buio nella nostra storia, con mafia e terrorismo che stavano prendendo il largo. Erano gli anni delle stragi delle stragi, delle bombe, della “strategia della tensione”: in poche parole, gli anni di piombo.
In quel contesto, punta dell’iceberg fu l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, avvenuto, il 9 maggio 1978, al termine di quasi 2 mesi di prigionia. Il tutto 2 anni prima il delitto Mattarella. Quest’ultimo, a Moro, era legatissimo: lo considerava il suo punto di riferimento politico, oltre che un amico. Anche perchè Moro fu un grande fautore del Compromesso Storico, cioè il tentativo da parte del Partito Comunista Italiano di un accordo politico con la Democrazia Cristiana per assumere ruoli nel Governo. Una novità assoluta per l’epoca, anzi storica, come dice il nome stesso. Ma d’altronde la Guerra Fredda, ed il mondo diviso a blocchi, imponeva quanto meno una riflessione sul da farsi. Tuttavia, nonostante le importanti aperture di Moro, il matrimonio non si fece, nè li nè mai.
Mattarella, tuttavia, tentò di prendere in eredità la volontà di Moro, seppur a livello locale governando in Sicilia con l’appoggio esterno del Pci nel 1978, ma furono proprio i comunisti poi a far saltare il banco l’anno dopo. Insomma, non era aria.
Mattarella soffrì la morte di Moro. Si recò personalmente in via delle Botteghe Oscure, la storica sede del Pci dove venne ritrovato il corpo. Due giorni dopo, l’11 maggio 1998, usò queste parole in un’intervista concessa al Giornale di Sicilia:
“Una mano sollevò una punta della coperta e vidi il volto di Aldo Moro e, durante tutte le complicate e forzatamente lente operazioni degli artificieri, la commozione fu solo superata con la preghiera e con la consapevolezza che il colpo dato alle nostre istituzioni è talmente grave che è indispensabile iniziare subito con razionalità a operare per difenderle”
La lotta alla mafia e l’omicidio
Mattarella ha sempre avuto un legame forte con la sua Sicilia, come dimostra la sua carriera politica. Qui infatti dal 1964 al 1980, anno della morte, ha sempre ricoperto incarichi di rilievo tra le fila della Dc: eletto consigliere comunale a Palermo, poi all’assemblea regionale siciliana ed infine, nel 1978, nominato presidente della Regione Sicilia (all’epoca il presidente non veniva nominato dal popolo, ma nominato dai membri dell’assemblea). Un curriculum di tutto rispetto che gli valse anche il rispetto e la stima dei vertici del partito.
Mattarella venne nominato ufficialmente presidente il 20 marzo, tre giorni dopo il rapimento di Moro. Nel corso dei suoi 2 governi regionali (il primo, come detto, cadde per le frizioni col Pci) tentò di mettere in campo azioni di forte contrasto all’illegalità e a favore della trasparenza: regole stringenti sugli appalti pubblici, riduceva drasticamente gli indici di edificabilità dei terreni agricoli e portava sulle spalle dei costruttori alcuni degli oneri per le opere di urbanizzazione. Insomma, Mattarella si fece qualche nemico tra le fila della criminalità organizzata. Ma in fondo la Sicilia aveva bisogno di rinascere.
Cosa nostra, infatti, spadroneggiava all’epoca un po’ ovunque nell’isola. Uccideva giornalisti, procuratori, carabinieri, magistrati. Chiunque cercava la verità, finiva nel mirino dei mafiosi. Ma nonostante ciò, Mattarella non si fece mai intimidire. E questo gli costò la vita, come purtroppo a molti altri prima di lui, come purtroppo a molti altri dopo di lui.
Inizialmente l’omicidio venne considerato un attentato terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neofascista. Tuttavia le sentenze successive cambiarono le carte in tavola. Nella sentenza della Corte di Assise del 12 aprile 1995, si legge: “l’istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l’azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi” e si aggiunge che da anni aveva “caratterizzato in modo non equivoco la sua azione per una Sicilia con le carte in regola”. La sentenza divenne definitiva con la Corte di Cassazione, nel 1999, confermò. Vennero condanati (anche a causa degli omicidi di Pio La Torre e Michele Reina) Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci.
Nel 2018 la Procura di Palermo ha riaperto le indagini sull’omicidio Mattarella, anche con riferimento ai rapporti tra cosa nostra palermitana e l’eversione del terrorismo di destra. Alcuni tasselli all’appello, infatti, mancano? Chi ha sparato a Mattarella? E chi era il suo complice? Ci sono altri legami ad oggi sconosciuti? I misteri sono tanti, i dubbi pure. Spetterà ancora una volta ai magistrati stabilirlo, con l’augurio che tutta la verità possa emergere fuori, 44 anni dopo.