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Discepolo di Khamenei e nemico dell’Occidente: chi era Ebrahim Raisi

20 maggio 2024 | 11:23
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Discepolo di Khamenei e nemico dell’Occidente: chi era Ebrahim Raisi

Sotto di lui, ebbero inizio le proteste a seguito della morte di Mahsha Amini. Raisi rispose con una serie di condanne a morte

Teheran, 20 maggio 2024 – Ultraconservatore, ex giudice capo della magistratura iraniana, ayatollah delfino della Guida Suprema Ali Khamenei e in pole position per la successione, il presidente Ebrahim Raisi si è dimostrato un intransigente nemico di Israele, degli Stati Uniti e dell’Occidente ma anche delle rivali monarchie del Golfo in politica estera e un inflessibile tutore del regime islamico in politica interna.

E’ stato eletto nel giugno del 2021 a succedere al moderato Hassan Rohan con il 62% dei voti in un’elezione nella quale si è toccata la più bassa affluenza alle urne della storia della Repubblica Islamica.

Chi era Raisi

Raisi si è trovato imbrigliato in una crisi economica generata dalle sanzioni occidentali, con elevata disoccupazione e inflazione alle stelle, sulla quale si è innestata la crisi del Covid-19. Ma molti osservatori notano come la sua priorità quasi ossessiva fosse il mantenimento della sicurezza interna e un incremento delle spese per la difesa piuttosto che i problemi sociali ed economici nei quali la società iraniana si è avvitata. Sotto di lui nel settembre 2022 è dilagò l’ondata di proteste seguite alla morte della giovane Mahsa Amini, alla quale rispose con un ulteriore irrigidimento dell’ordine pubblico, con una serie di condanne a morte. Una tendenza, del resto, perfettamente in linea con il suo passato.

Nato il 14 dicembre del 1960 nella città santa di Mashhad, neanche 19enne, quando la rivoluzione islamica guidata da Ruhollah Khomeini trionfò, quasi subito entrò a far parte delle corti rivoluzionarie, dove fece una rapida carriera, che per i suoi oppositori resta piena di punti oscuri. Da giovane procuratore aggiunto di Teheran fu tra i 4 membri della cosiddetta Commissione della morte che nel 1988 fece impiccare in modo sommario migliaia di dissidenti, soprattutto attivisti di sinistra: almeno 3 mila esecuzioni accertate, per alcuni fino a 30 mila.

“A chi ci parla di compassione islamica e perdono, noi rispondiamo che affronteremo i rivoltosi fino alla fine e sradicheremo la sedizione”, aveva ribadito anche durante la repressione delle proteste del Movimento Verde, che nel 2009 si opponeva alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. Con in capo il turbante nero, simbolo dei discendenti del profeta Maometto (i sayyid), è ritenuto un delfino e possibile successore dell’anziana Guida suprema Ali Khamenei, fu suo allievo di giurisprudenza islamica. Dopo aver fallito quattro anni fa la corsa alla presidenza, Khamenei lo promosse capo dell’apparato giudiziario per i suoi “meriti” nell’aver salvato la Rivoluzione.

Sotto il suo impulso è ripartito il programma di arricchimento dell’uranio, dopo un periodo di stallo seguito all’uscita unilaterale degli Stati Uniti di Trump dall’accordo sul nucleare del 2015, e si è estesa, potenziata e perfezionata la guerra per procura in tutta la regione mediorientale, dall’Iraq alla Siria, da Libano e Gaza allo Yemen.

Nel marzo del 2023, a sorpresa, ripristinò le relazioni diplomatiche di Teheran con l’Arabia Saudita, malgrado l’attrito in corso fra la monarchia i ribelli sciiti suoi protegées Houthi nello Yemen. Dando così prova di realismo politico e forse aprendo la strada a mosse di maggior respiro strategico, pochi mesi prima dello scoppio della guerra a Gaza con il sanguinoso attacco di Hamas a Israele, dietro al quale s’intravvede la lunga mano di Teheran. Guerra che ha portato anche al primo scontro diretto con l’arcinemico israeliano, con lo scambio di missili dello scorso aprile.

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