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Viterbo, blitz all’alba: catturato il presunto boss della mafia turca

22 maggio 2024 | 15:52
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Viterbo, blitz all’alba: catturato il presunto boss della mafia turca

Smantellata la rete criminale. Il presunto boss era uno degli uomini più ricercati dalla Turchia

Viterbo, 22 maggio 2024 – Un’associazione criminale e terroristica che dotata di un potente arsenale, un giovane esercito e tanti soldi era pronta a una “rivoluzione” in Turchia. E’ questo il quadro che emerge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Milano Roberto Crepaldi, su richiesta del pm Bruna Albertini, che ha portato in carcere Baris Boyun, 40 anni, la moglie, i suoi guardaspalle e fedelissimi per accuse che, a vario titolo, vanno dalla banda armata con finalità terroristiche alla detenzione di armi e di esplosivi, dal traffico internazionale di droga fino all’omicidio e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

E’ un gruppo “estremamente pericoloso perché dotato di armi cruente” spiega la titolare dell’inchiesta. “Armi pesanti, clandestine, da guerra”, come kalashnikov o bombe a mano, con cui i ‘soldati’ attraversano la Lombardia, si muovono tra Svizzera, Olanda e Germania, con “obiettivi politici: la lotta è contro quelli che hanno ‘infestato lo stato turco’“. Per la Direzione distrettuale antimafia, così come per il gip, “non vi è dubbio che il capo indiscusso dell’associazione” sia Boyun: è lui a coordinare la vendita di armi (sfruttando canali all’estero e conoscenze in Turchia), a decidere su tratte balcaniche e tariffe dei migranti, a orientare la strategia sul contrabbando di sigarette e sul mercato più lucroso di droga e farmaci, a riciclare il denaro (tramite circuiti hawala o più tradizionali) e ordinare vendette.

Le intercettazioni, captate anche da una microspia nel braccialetto elettronico dell’uomo tra i più ricercati ad Ankara, restituiscono i dettagli del fallito attentato in fabbrica vicino a Istanbul e del gruppo di fuoco che ha commesso un omicidio a Berlino. Un delitto che la procura ha ricostruito e sta ricostruendo con le autorità tedesche. Ma l’indagine restituisce anche l’interesse a garantire sostegno ai compagni arrestati: “Ho 300 uomini in carcere di cui almeno un centinaio ha anche la famiglia cui devo badare” ammette in un’intercettazione lo scorso febbraio.

A Boyun, già ai domiciliari e arrestato all’alba a Viterbo, “giurano fedeltà fino alla morte; è il suo nome a fare paura agli estranei”. Nel provvedimento, di oltre cento pagine, si ricostruisce ogni singolo ruolo degli altri 17 persone (un solo italiano) di origine turca che vivono in Italia, Svizzera, Germania e Turchia, arrestate dalla Guardia di finanza e dalla Polizia. Nessun provvedimento è stato disposto per i due legali del presunto boss che risultano indagati per ricettazione per alcune transazioni di denaro. Arresti possibili, sottolinea il procuratore capo di Milano Marcello Viola “grazie alla cooperazione con la polizia turca per un’operazione di oggettiva e assoluta importanza che vede al centro un gruppo con finalità di tipo strettamente terroristico”.

I dettagli dell’indagine. Il fallito attacco ad Istanbul

Un’indagine “complessa” nata, nell’ottobre del 2023, con tre arresti alla frontiera di Chiasso: su un’auto viaggia la ‘scorta’ armata di Buyon. La polizia sequestra due pistole, un giubbotto antiproiettile, ma anche documentazione riconducibile al 40enne e alla sua compagna. I tre arrestati risultano ricercati in Turchia: uno per omicidio e due in quanto sospettati di far parte di un gruppo criminale. E un’arma costa anche l’arresto di Buyon il 19 gennaio del 2024 a Milano. Era in auto, in compagnia della moglie.

Il braccialetto elettronico consente i domiciliari al presunto boss, ma la microspia all’interno ora rischia di costargli molto caro. Sono “numerosissime” le conversazioni in cui tratta il commercio di armi: “Ho il mio produttore d’armi personale” dice o si vanta di gestire, attraverso i suoi uomini, “tutto il mercato tedesco” e di poter “vendere anche in Svizzera”. Una capacità di infiltrazioni in Europa che ha come obiettivo la conquista criminale della Turchia. “Dammi una settimana di tempo, sto facendo grandi preparativi, tutta la Turchia ne parlerà“. E’ con queste parole che Boyun – che si sente al sicuro in Italia – annuncia l’attacco (fallito) a una fabbrica vicino a Istanbul per colpire il rivale Burhanettin Saral. L’intenzione, come dimostrano anche gli attacchi ai ristoranti di lusso una nota catena turca, “è di scalzare il gruppo attualmente al potere, che corrompe lo Stato (a suo dire, ndr) e lo considera come un criminale di ‘quarta categoria’” scrive il gip Crepaldi.

L’attentato alla fabbrica, anche se scongiurato dall’intervento della polizia, è una “dimostrazione di forza” che avrebbe pesato “sul piano criminale e sul senso di insicurezza” in Turchia. E che l’obiettivo sia “politico” emerge chiaramente. “Ho mandato notizie alla gerarchia superiore del Pkk, ho detto che non accettiamo un’organizzazione così e che fonderemo una nuova organizzazione iniziando una nuova rivoluzione” è una delle intercettazioni riportate nell’ordinanza di custodia cautelare.

Per il gip, “appare evidente come Boyun stia continuando dall’Italia (ove ritiene di aver trovato protezione), insieme ai suoi uomini, una guerra per conquistare la supremazia su altri gruppi criminali che hanno infestato, a suo giudizio, lo stato turco“. Gli attentati, gli omicidi, le gambizzazioni sono “certamente funzionali a imporsi rispetto agli altri gruppi criminali ma anche a spezzare il legame esistente, sempre nell’ottica di Boyun, tra queste e lo Stato, orientando i comportamenti delle istituzioni e sostituendosi, evidentemente, a quei legami” si legge nel provvedimento che autorizza gli arresti.

Destabilizzazione che passa anche “dall’imporre il terrore nella popolazione, del resto già ampiamente terrorizzata alla sola idea di pronunciare il nome di Boyun, noto come criminale violento e senza scrupoli, autore di estorsioni, pestaggi, gambizzazioni, omicidi e gravissimi attentati, come alcune intercettazioni dimostrano. Del resto, proprio l’uso della violenza è il mezzo, oltre all’accumulo di ricchezze illecite, con il quale intende perseguire – conclude il gip Crepaldi – i propri obiettivi criminali e politici”. (fonte: Adnkronos)

Per dovere di cronaca, e a tutela di chi è indagato, ricordiamo che un’accusa non equivale a una condanna, che le prove si formano in Tribunale e che l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio.

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