Roma, arrestato Marcello Colafigli: il “Bufalo” della Banda della Magliana

4 giugno 2024 | 09:45
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Roma, arrestato Marcello Colafigli: il “Bufalo” della Banda della Magliana

Colafigli è finito in manette durante un blitz antidroga della Direzione distrettuale antimafi

Roma, 4 giugno 2024 –  Marcello Colafigli, uno dei capi storici della Banda della Magliana è stato arrestato nell’ambito di un’operazione antidroga della Direzione distrettuale antimafia nelle province di Roma, Napoli, Foggia e Viterbo. Emesse misure cautelari nei confronti di 28 persone indagate, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, di tentata rapina in concorso, tentata estorsione in concorso, ricettazione e possesso illegale di armi, procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale. Colafigli ha ispirato il personaggio del “Bufalo” nel film e nella serie Tv “Romanzo Criminale”.

Le indagini, avviate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma e dirette dalla DDA di Roma nel giugno 2020, hanno permesso di raccogliere gravi elementi indiziari in ordine all’esistenza di un sodalizio criminale, con base logistica nella Capitale e operativo nell’area della Magliana e sul litorale laziale, capeggiato da Marcello Colafigli che, nonostante in regime di semilibertà, era riuscito a pianificare cessioni ed acquisti di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti dall’estero (Spagna e Colombia), mantenendo rapporti con esponenti della ‘ndrangheta, della camorra, della mafia foggiana e con albanesi inseriti in un cartello narcos sudamericano.

Marcello Colafigli, è stato riconosciuto unitamente a Franco Giuseppucci, Enrico De Pedis, Maurizio Abbatino e Nicolino Selis, come uno dei soci fondatori del gruppo criminale noto con il nome Banda della Magliana”. Gravato da più ergastoli, è stato condannato, tra l’altro, per il sequestro e l’omicidio del Duca Massimo Grazioli Lante della Rovere (considerata l’azione con cui la Banda ha iniziato la propria attività criminale) e l’omicidio, come mandante, di Enrico De Pedis. (Fonte: Adnkronos)

(Foto: fotogramma)

Per dovere di cronaca, e a tutela di chi è indagato, ricordiamo che un’accusa non equivale a una condanna, che le prove si formano in Tribunale e che l’ordinamento giudiziario italiano prevede comunque tre gradi di giudizio.