Netanyahu prova ad arringare Capitol Hill. Ma fa un buco nell’acqua
Il premier israeliano: “Contro Hamas è uno scontro tra barbarie e civiltà”. Nancy Pelosi lo definisce: “Il peggior discorso al Congresso pronunciato da un leader straniero”. E Kamala Harris non c’è
Washington, 25 luglio 2024 – Il “peggiore” discorso al Congresso pronunciato da un leader straniero. Così l’ex speaker della Camera americana Nancy Pelosi commenta l’intervento del premier israeliano Benjamin Netanyahu a Capitol Hill. “Le famiglie” degli ostaggi “vogliono un cessate il fuoco per riportarli a casa e noi ci auguriamo che il premier spenda il suo tempo a centrare questo obiettivo”, ha detto Pelosi.
Nel loro incontro, il presidente americano Joe Biden e il premier israeliano Benjamin Netanyahu parleranno di come chiudere i ‘gap’ finali che bloccano ancora l’accordo per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi nella Striscia di Gaza, che è “nella fase di chiusura”: lo ha detto un alto dirigente dell’amministrazione Usa in una call a cui ha partecipato anche l’ANSA. Gli ostacoli rimanenti sono superabili, ha riferito il dirigente, preannunciando altri incontri volti a raggiungere un accordo tra Israele e Hamas nella prossima settimana.
I due leader parleranno anche della situazione umanitaria nella Striscia e della minaccia iraniana, quindi incontreranno insieme i familiari di alcuni ostaggi di Hamas.
Netanyahu: “In corso una lotta di civiltà”
“Sono venuto qui per assicurarvi una cosa, che vinceremo e la nostra sarà una vittoria totale. Quello che sta accadendo non è uno scontro di civiltà, ma tra barbarie e civiltà, tra coloro che glorificano la morte e coloro che glorificano la vita. Per far trionfare le forze della civiltà, Usa e Israele devono stare insieme”. Tra lunghi applausi e più di qualche fischio, Benjamin Netanyahu ha arringato per la quarta volta il Congresso americano – una in più di Winston Churchill – in un’ America distratta dalla sorprendente ascesa di Kamala Harris e poche ore prima che Biden spiegasse alla nazione il motivo del suo ritiro, rubandogli in parte la scena.
Il premier israeliano ha parlato per quasi un’ora in un Capitol diviso e blindatissimo, tra numerose defezioni dem (circa 80 secondo la Cnn) e le fragorose proteste di migliaia di manifestanti filo palestinesi che lo hanno assediato anche davanti al suo hotel al Watergate. E che ha apostrofato sprezzantemente in aula come “utili idioti dell’Iran”. Il focus è stato ovviamente difendere il proprio operato a Gaza, ottenere sostegno per continuare la battaglia contro Hamas sino al suo annientamento (sollecitando nuovi e rapidi aiuti militari Usa) e contenere i gruppi filo iraniani come Hezbollah e Houthi mettendo nel mirino “l’asse del terrore iraniano che minaccia Usa, Israele e il mondo arabo”. Ma anche rassicurare sul suo “pieno impegno” per completare l’accordo sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi caldeggiato da Biden, che ha ringraziato per il suo “sincero sostegno” in tutti i suoi 50 anni di politica. Un discorso meno conflittuale di quello del 2015, quando utilizzò l’invito dei repubblicani per criticare la politica dell’allora presidente Barack Obama sull’Iran.
E più bipartisan, cercando di rafforzare i suoi tradizionali legami col Grand Old Party ma anche di allentare la tensione con il presidente dem, su cui comunque dovrà fare affidamento per i prossimi sei mesi: con lui si vedrà domani, incontrando anche i familiari degli ostaggi, mentre con la sua vice avrà un incontro separato, prima di volare venerdì a Mar-a-Lago per un faccia a faccia con Donald Trump, cui ha reso omaggio per quanto fatto come presidente, a partire dagli accordi di Abramo.
Kamala Harris non c’è
Kamala Harris però ha scelto di non presiedere il Parlamento a Camere riunite per il discorso di Bibi, invocando precedenti impegni elettorali a Indianapolis. Dietro questa mossa qualcuno intravede un tentativo di prendere ulteriormente le distanze dalla sua gestione della guerra a Gaza, recuperando elettoralmente la fronda della protesta dem contro la linea giudicata troppo morbida di Biden. Lo speaker della Camera Mike Johnson l’ha attaccata accusandola di slealtà verso “il nostro più importante alleato strategico in questo momento”. Ma non c’era neppure il senatore J.D. Vance, il vice di Trump, impegnato anche lui in campagna elettorale. Quella di Harris comunque è solo la più pesante delle decine di defezioni dem (quasi il doppio di quelle del 2015), per protestare contro i bombardamenti a Gaza e per non offrire a Netanyahu un’occasione per risalire la china di sondaggi interni disastrosi. Assenti anche il primo dem in linea di successione al Senato, Patty Murray, i suoi colleghi Dick Durbin (il numero due), Tim Kaine, Jeff Merkley e Brian Schatz, tutti membri della commissione Esteri del Senato, e Chris Van Hollen: “Per lui si tratta di rafforzare il suo sostegno in patria, non voglio essere parte di una propaganda politica in questo atto di inganno. Lui non è il grande guardiano delle relazioni Usa-Israele”.
Netanyahu isolato
Ancora più duro il senatore Bernie Sanders: “Sono d’accordo con la Corte penale internazionale e con la commissione indipendente dell’Onu sul fatto che Benyamin Netanyahu e Yahya Sinwar siano dei criminali di guerra“. Tra gli ex deputati a saltare l’intervento anche l’ex speaker della Camera, Nancy Pelosi – che ha preferito incontrare le famiglie israeliane vittime delle azioni di Hamas – le pasionarie Alexandria Ocasio-Cortez e Ilhan Omar, insieme alla moderata Ami Bera e al leader afroamericano James Clyburn. C’era invece Rashida Tlaib, la deputata dem del Michigan di religione islamica che ha mostrato un cartello in aula con la scritta “criminale di guerra”. Assenze in sintonia con l’ondata di proteste che hanno accompagnato Bibi sin dal suo arrivo nella capitale, con oltre 200 arresti martedì per l’ingresso nella Cannon House, un edificio del Parlamento. Un fiume di manifestanti che oggi ha assediato il Campidoglio – protetto da alte recinzioni metalliche e da un imponente schieramento di polizia che ha usato anche lo spray al peperoncino contro i piu’ “violenti” – con bandiere palestinesi, slogan contro il “genocidio” e il “criminale di guerra” Netanyahu. Ma anche t-shirt rosse con la scritta ‘Not in Our Name’, per smarcarsi dalla politica dell’amministrazione Biden che comunque continua a sostenere l’alleato.
Il premier israeliano troverà sicuramente un ambiente meno ostile a Mar-a-Lago per il primo incontro con Trump dopo la fine della sua presidenza, quando lo accusò di “tradimento” per essersi affrettato a congratularsi con Biden riconoscendone la vittoria. Ormai tutti i principali nodi della politica estera passano anche da Palm Beach: dall’Ucraina al Medio Oriente. (Foto: X @netanyahu – Netanyahu’s X profile)
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