Irene Bernasconi, la maestra che sfidò la malaria
Storia di un’insegnante e della sua “missione umanitaria”: Irene e la “Casa dei bambini” di Palidoro
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Lì non ci voleva andare nessuno, eppure ce ne era un estremo bisogno: povertà, sofferenza, malaria… questo caratterizzava Palidoro nei primi del Novecento, quando era ancora tutta palude e le condizioni di vita non erano delle migliori, anzi. Non dimentichiamo che quelli erano gli anni in cui l’Italia era devastata dalla Prima Guerra Mondiale, ma a far paura era anche la puntura delle zanzare infette, che portarono alla perdita di moltissime vite.
Ma in questo paesaggio di morte, povertà e violenza un segno profondo nella comunità dell’epoca (d’esempio anche in quella dei giorni nostri) fu lasciato da una giovane donna che si ritrovò di fronte una realtà mai vista prima: Irene Bernasconi è stata la prima maestra ad insegnare presso la “Casa dei bambini di Palidoro”. Parliamo di una scuola costituita solo da un’aula, dove gli alunni erano “sporchi, scalzi, stracciati e che parlano in modo incomprensibile”. Ma è proprio lì che viene svelata la magia dell’educazione e dell’istruzione. Valori oggi troppo spesso dimenticati, ma che la maestra Irene riuscì a valorizzare, insegnando ai suoi allievi il “buongiorno” e, allo stesso tempo, prendendo da loro tanti insegnamenti. Oggi possiamo scoprire lei chi era e come a quei tempi ha rivoluzionato il metodo di insegnare grazie al libro “I granci della marana”, dove è raccolto il diario della maestra Irene. E ce ne parla Elio Di Michele, curatore del libro.
Dalla Svizzera a Palidoro
Irene Bernasconi è nata a Meride, vicino Chiasso in Svizzera, nel 1886. La sua era una famiglia benestante per l’epoca (il padre aveva una fabbrica di sigari), la madre era originaria di Meride e lei era la secondogenita (unica femmina) di 10 figli. A circa vent’anni, Irene si innamora di un giovane scultore di un centro vicino, ma il padre gli nega il consenso al matrimonio per divergenze politiche fra le due famiglie. Questo la spinge ad allontanarsi da casa e andrà a studiare a Milano, dove seguirà “Corsi Montessoriani”. Tra il 1914 e il 1915 fa un tirocinio presso una scuola d’infanzia, ma poi sceglie di insegnare dove nessuno voleva andare: “L’altruismo, che ha sempre costituito la peculiarità del suo carattere – racconta Elio Di Michele – la porta a desiderare di rendersi utile per chi ne ha maggiormente bisogno. Questo le fa decidere di fare la maestra d’asilo nei luoghi più disagiati”. E fu proprio questo che la portò a Palidoro.
Palidoro fra palude e malaria
Irene diventa la direttrice della “Casa dei bambini di Palidoro” nel 1915, nel territorio dell’Agro Romano. Un luogo molto rischioso a causa della malaria, che continuava a mietere vittime. Letale era anche il morbillo, infatti, morirono alcuni bambini ai quali Irene insegnava. La permanenza di Irene Bernasconi a Palidoro fu breve: alla fine dell’anno scolastico (giugno 1916) torna a Chiasso, dove continua a insegnare.
Irene arriva a Palidoro in “una mattina, fredda, grigia e malinconica”, si legge nel suo diario. Era giunta lì mossa dal suo spirito di compassione e altruismo: “Avevo scelto di fare scuola in un posto dove non voleva andare nessuno, fra gente primitiva, bisognosa d’affetto, fra bambini anche sporchi, scalzi, stracciati: bambini vicini alla terra. Era il posto che faceva per me, quello che andavo cercando”. Quei bimbi erano i figli dei “guitti”, i lavoratori stagionali che venivano nell’Agro Romano da varie zone d’Italia, da settembre a giugno, per che in estate la malaria rendeva impossibile lavorare. Vivevano nelle capanne anche le famiglie più numerose. Questo il paesaggio che Irene si trova davanti: cose da lei mai viste.
La “Casa dei bambini secondo il metodo Montessoriano”
Irene inizia, quindi, ad insegnare nella scuola materna la “Casa dei bambini” di Palidoro secondo il metodo Montessori (conosciuto ancora oggi e adottato in circa 60mila scuole in tutto il mondo). Lì ha seguito all’inizio 27 bambini, che poi diventarono 36. La scuola era costituita da una sola aula e un altro locale adibito a cucina. Quello che prima era un pollaio era stato poi trasformato in un corridoio che portava al “gabinetto” dei piccoli scolari, ovvero il prato percorso dalla “marana”.
Gli alunni di Irene all’inizio sono spaventati e diffidenti nei suoi confronti. Le mamme, infatti, gli avevano detto di stare buoni perché altrimenti “La signorina mena”. I piccoli gridano, sono aggressivi, sporchi e affamati. Hanno uno spirito distruttivo: il primo materiale didattico portato in classe venne stracciato e distrutto in pochissimo tempo. Per lei era molto difficile mantenere il silenzio in classe e farsi ascoltare, ma si era prefissata tre obiettivi da raggiungere 1) che i bambini mangiassero 2) che si lavassero e mantenessero una corretta igiene per la loro salute 3) che venissero istruiti. Fu questo il modo in cui la maestra Irene rivoluzionò l’insegnamento, improntando un metodo fuori dal comune.
Quei bambini per Irene parlavano in modo incomprensibile: era il dialetto della Ciociaria e per lei, che parlava un ottimo italiano fluente, molte parole e modi di dire erano sconosciuti. Per questo si può parlare anche di autoeducazione: Irene educò i bimbi, ma allo stesso tempo imparò cose nuove proprio da loro: “Io voglio crescere – diceva -. I bambini insegnano tante cose”. Quando entrambe le parti cominciano a comprendersi, quello che venne a crearsi fu un rapporto d’amore: gli scolari erano per lei come figli sia da istruire che da accudire.
I bambini imparano il “buongiorno”
Parlando solo il dialetto, Irene alfabetizza i suoi alunni insegnandogli l’italiano e l’educazione: vederli salutare educatamente e usare parole gentili, appena arrivata, era quasi un miraggio. Ma nel corso dell’anno scolastico furono strabilianti i progressi fatti dai piccoli allievi: impararono a parlare, ad ascoltare, ad essere attenti durante le lezioni. Aumenta la loro curiosità e l’interesse per quanto gli viene insegnato, il rispetto per la maestra e per il materiale didattico a loro disposizione. Tanta la soddisfazione quando gli alunni imparano a dire “buongiorno, per favore e grazie”. Tutti traguardi che Irene raggiunse studiando i bambini, cercando di capirli e prendendosi cura di loro.
Il registro – diario
Irene, come tutte le maestre di oggi, in classe portava un registro dove, però, non annotava solo note e appunti per la didattica: riportava il comportamento dei bambini, le cose fatte in classe, la loro capacità e voglia di apprendimento. Ma anche le sue riflessioni personali, le sue emozioni, i drammi familiari. Tale registro è stato poi trasformato in un diario, togliendo le parti più scolastiche. Quello originale è andato perso ma è stato trascritto dalla figlia di Irene ed è arrivato fino a noi oggi. Si tratta di una preziosa e unica testimonianza che ci permette di conoscere Irene Bernasconi e la sua straordinaria opera di insegnamento.
Un insegnamento rivoluzionario
Irene Bernasconi ebbe poco tempo per portare a termine la sua “missione umanitaria”, ma ci riuscì lo stesso. Alla fine dell’anno scolastico torna a Chiasso, dove continua ad insegnare e si sposa nel 1923 con il maestro elementare Felice Socciarelli, con il quel ha poi due figlie, Linda e Cristina.
Anche se breve, la sua permanenza a Palidoro come maestra ha lasciato un segno profondo nella storia dell’insegnamento: ancora oggi il suo metodo viene ricordato come rivoluzionario e innovativo. Irene era convinta che per educare il bambino “bisogna rispettare qualsiasi suo sentimento, se vogliamo comprenderlo e, quindi, educarlo – scriveva -. Ѐ necessario osservarne attentamente ogni mossa, non lasciarsi sfuggire alcuna parola, studiarne la mimica del viso e cercare di adeguarsi alla vita interiore del fanciullo se vogliamo arrivare a capirlo”. Ѐ questo il messaggio che voleva tramandare e ci è riuscita: la sua è stata un’esperienza che non verrà mai dimenticata.
(Credit Ph – Ritratto di Irene Bernasconi, 1918 – Archivio fotografico della famiglia)