Cultura, Turismo, Lavoro

Maria D’Auria: l’arbitro donna che superò il patriarcato

20 agosto 2024 | 08:00
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Maria D’Auria: l’arbitro donna che superò il patriarcato

Con una carriera sportiva sia locale che internazionale, Maria racconta come è riuscita a far valere la sua passione per il calcio, senza mai abbassare la testa

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“Cultura, Turismo, Lavoro”: un progetto della Fondazione Anna Maria Catalano, finanziato dall’Unione Europea Next Generation EU nell’ambito del PNRR Transizione digitale Organismi Culturali e creativi”.

Rispetto, disciplina, costanza e sacrificio: questi sono i valori dello sport in generale. Valori che nel gioco del calcio hanno un’importanza fondamentale. E per quello che è sempre stato visto un mondo prettamente “maschile”, c’è una figura importante nel panorama dello sport locale e non solo: Maria D’Auria, 71enne di Fiumicino, ha dedicato la sua vita allo sport. Inizia con l’atletica leggera, poi diventa calciatrice, una delle prime donne arbitro e allenatrice.

Maria, ormai in pensione, racconta con orgoglio tutta la sua carriera sportiva che le ha permesso di portare avanti la sua grande passione per il calcio, ancora nel suo cuore oggi.

Una famiglia numerosa

Nata nel 1954, Maria D’Auria è la seconda di 8 figli (6 femmine e 2 maschi) e ha tutt’ora un bellissimo rapporto con i suoi fratelli e le sue sorelle: di origini napoletane, suo padre Francesco e sua madre Giuseppina costruirono la loro casa a Fiumicino, località Isola Sacra. Il papà lavorava in Germania e faceva il pendolare, mentre la mamma si occupava di una porzione di terreno di loro proprietà dove allevavano soprattutto galline e ne vendevano le uova. Maria ha lavorato fin da piccola per aiutare la famiglia, facendo i lavori più disparati: dal raccogliere le carote, al muratore in maggiore età. Ma ha sempre trovato il tempo da dedicare allo sport, la sua grande passione.

Tutto iniziò con l’atletica

La carriera sportiva di Maria D’Auria inizia da giovanissima, ma il primo sport con cui si approccia, fra il 1968 e il 1969, non è il calcio, bensì l’atletica leggera: “Ho iniziato a fare sport a 14 anni, mi allenavo al centro sportivo Stella Polare di Ostia, facevo i 400 metri – racconta Maria -. Andavo a fare le gare a Caracalla, ma all’inizio ero inesperta: alla prima gara che ho fatto, mio padre mi disse di non respirare con la bocca ma con il naso per correre meglio, invece io non avevo capito e ho fatto i 400 metri senza respirare. Infatti, sono arrivata penultima”. Ciò nonostante Maria diventa molto brava in atletica: entra nelle Fiamme Gialle e comincia a fare anche gli 800 metri. Poi bastò un attimo e capì che non era quello il suo destino.

Calcio femminile

Mentre tornava da uno dei suoi allenamenti, Maria vede qualcosa che le fa cambiare idee su quale sport praticare e che darà una svolta alla sua vita: “Ero in macchina con mio padre all’altezza di Ostia Antica – spiega – quando passiamo davanti ad un campo di calcio dove si stavano allenando delle ragazze. Papà disse ‘Marì ma non ti piacerebbe giocare a pallone?’ Ed è lì che ho deciso, così su due piedi. Mi piaceva l’atletica ma ho sentito come se il calcio mi chiamasse. Mai avrei pensato un giorno di finire sul Corriere dello Sport”.

A 15 anni Maria fa il provino con l’As Roma femminile e aspetta l’esito. Poi qualche giorno dopo arriva la sorpresa: “Eravamo tutti a casa insieme che stavamo pranzando – ricorda con orgoglio – quando bussarono alla porta: era la presidente della squadra che venne ad annunciarmi che avevo superato il provino e che, da ora, ero a tutti gli effetti una calciatrice della Roma. Mi fecero un contratto per 4 anni e non potete immaginare la festa che abbiamo fatto: una gioia indescrivibile. E sono state tante le emozioni quando con la Roma finivamo sui giornali”.

Maria racconta come all’epoca fosse visto “diversamente” il calcio femminile rispetto a quello maschile: la donna che giocava a calcio non era ben vista “Era uno scandalo vederci in pantaloncini!” Questo perché per la società dell’epoca le donne dovevano stare a casa ad accudire marito e figli. “Ma io sono cresciuta giocando a calcio nei campi: fra 30 bambini io ero l’unica femmina e mi mettevano in porta, fatta con due mattoni o due giacche per fare da pali. Passavo intere giornate lì, pensate che mia madre mi trascinava a casa perché rientravo sempre tardi. Anche le mie compagne di squadra erano cresciute così: chi giocava per strada, chi sui marciapiedi… posso dire che l’infanzia era diversa una volta, ma molto più bella”.

Calcio e lavoro

Maria lavora nei campi e raccoglieva carote, patate e pomodori nei terreni di Isola Sacra da quando aveva 10 anni. Lavoravo la mattina, poi andava il pomeriggio ad allenarsi e in più c’erano le partite. Non era facile per lei, ma la voglia di giocare e l’amore per il calcio la spinsero a non abbandonare mai.  “Tanta la soddisfazione quando il Coni mi chiamò per andare a giocare nella nazionale italiana, dopo una finale di Coppa Italia – ricorda -. Ma il dottore che mi doveva fare il certificato aveva sentito un rumorino al cuore, ho fatto un sacco di visite, non avevo niente, ma la Federazione non mi poteva aspettare e hanno preso un’altra calciatrice”.

Calcio internazionale

La carriera calcistica di Maria non si è fermata a livello locale, tante sono le partite, che ha giocato all’estero: parliamo di match, soprattutto amichevoli o di beneficenza, disputati negli Stati Uniti, in Grecia, fino ad arrivare in Thailandia. Lei prima gioca con la Roma, come terzino, poi diventa portiere titolare quando iniziano a fare tornei internazionali. Maria ricorda con nostalgia anche un torneo in Thailandia dove, però, lei e le sue compagne di squadra si sono trovate davanti un’inaspettata sorpresa: “Quando siamo scese in campo ci siamo trovate di fronte una squadra maschile. Non ci siamo tirate indietro, abbiamo perso ma è stata una bella prova”.

Norvegia

All’età di 22 anni Maria si trasferì in Norvegia e rimase lì per 28 anni. Continuò a giocare a calcio a Alesund, nel mentre lavorava per una fabbrica di pesce e successivamente per un mobilificio. Ma lì le condizioni per giocare a calcio erano ostiche e lei decise di cambiare sport e buttarsi sulla pallamano, che si giocava in palestra. E lì che ha iniziato ad arbitrare: “Serviva un arbitro e mi hanno letteralmente costretta – racconta -. La prima partita è stata un disastro, ma poi migliorai e feci anche il corso per arbitrare nel calcio”. In questa fase della sua vita, lei oltre ad arbitrare si è dedicata anche all’allenamento di pallamano di ragazzi con disabilità.

Donna arbitro

Maria è stata una delle prime donne arbitro a Fiumicino: arbitrava le giovanili e la scuola calcio nelle partite che si disputavano a Isola Sacra, Focene, Fregene e Ostia Antica. Poi ha iniziato ad arbitrare anche gli adulti, soprattutto nei tornei di calcetto. Quella della donna arbitro a quei tempi era una figura particolare: in campo bisognava farsi rispettare, ma lei non ha mai avuto problemi.

“Non era facile essendo donna, – racconta Maria – ma bisogna far capire ai giocatori che non sei corruttibile, far capire come vuoi impostare il gioco e che, chi non rispetta le regole, rischia cartellini e anche di non giocare. Per arbitrare in campo devi essere obiettiva, non deve esserci nessun favoritismo. E’ normalissimo fare errori di valutazione, ma nel calcio moderno sembra che gli arbitri sbaglino di più con le nuove tecnologie. Posso dire, però, che tutto quello che ho imparato sull’arbitraggio l’ho imparato più sul campo e non seguendo rigidamente il regolamento. E lì che si fa esperienza e che si impara, anche sbagliando”.

Quando arbitrava i bambini, invece, lei in campo non si limitava ad arbitrare: cercava di trasmettere loro i valori del gioco pulito e del rispetto: “Arbitrare mi piaceva proprio per questo – racconta Maria -. Era fondamentale che fin da piccoli i calciatori capissero l’importanza di un gioco pulito, il non essere in competizione per vincere a tutti i costi, ma divertirsi, imparare e migliorare”.

Allenatrice a Fiumicino

Questa sua voglia di far imparare i valori dello sport ai più piccoli ha portato Maria ha diventare allenatrice: allenò sia a Focene che a Fiumicino la scuola calcio con bambini dai 7 ai 12 anni. Nel mentre lavorava all’aeroporto, quindi si divideva fra i due lavori. “Prima era abitudine far allenare le squadre da un genitore degli allievi – ricorda- ma questo insinuava in loro un modo sbagliato di vedere le competizioni. Anche lì cercavo di essere obiettiva, ma allo stesso tempo volevo che i bambini si divertissero sempre nel rispetto dell’altro e delle regole. Le soddisfazioni sono state comunque tante ed è commovente quando incontro per strada i mie ex allievi e ancora mi abbracciano chiamandomi mister”.

Un segno nella comunità locale

Maria D’Auria è un esempio di costanza, sudore e sacrificio per raggiungere i propri obiettivi e i propri sogni. Ancora oggi ama il calcio, ma ormai in pensione, lo segue da spettatrice. Ha lasciato un segno profondo nella comunità locale. A Fiumicino la ricordano come una delle donne più tenaci nel mondo dello sport e ammette: “Se non fosse per l’età e per gli acciacchi che avanzano arbitrerei ed allenerei ancora e ancora”.