L’arresto del fondatore Pavel Durov (un russo) pone diversi interrogativi sulla libertà d’espressione portata allo stremo. Ma c’è una storia che non tutti conoscono: Telegram è nato per combattere il capo del Cremlino.
Parigi, 25 agosto 2024 – Pavel Durov, arrestato all’aeroporto Le Bourget di Parigi nello scorse ore, è nato nel 1984, a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo). C’era ancora l’Unione Sovietica, che si sarebbe dissolta 7 anni dopo, nel 1991. Insomma, è un russo di sangue. A quei tempi comandava Andrej Andreevic Gromyko, il predecessore di Michail Gorbaciov, ultimo segretario del PCUS e presidente filo-occidentale, che aveva il sogno di trasformare la Russia in una democrazia fatta e compiuta. Un’impresa che al padre della Perestroika non avrebbero mai permesso di compiere. Tuttavia, Pavel Durov si trasferì ben presto a Torino, dove passò la sua infanzia. In patria ci tornerà per frequentare liceo e l’Università, facolta di Filologia. Nel frattempo, era cambiato tutto: nella “nuova” Russia si faceva la fame, quella vera. Gli scaffali dei supermercati erano vuoti, mentre la corruzione dilagava in tutte le alte sfere della burocrazia, con l’odiato presidente Boris El’cin che non riusciva nemmeno a tenere basso il gomito. Avrebbe nominato lui Vladimir Putin come capo del Governo russo: l’attuale capo del Cremlino, all’epoca feroce spia dell’FSB, era il delfino di El’cin. E proprio Putin prese il suo posto al Cremlino nel 1999, per poi rimanerci per 25 anni (salvo una breve parentesi targata Medvedev, un suo fedelissimo se non fantoccio, tra il 2008 ed il 2012).
Ma se cambiano i presidenti, c’è una cosa che in Russia c’è sempre stata. Anzi, è sempre mancata: la libertà. Nella sua storia millenaria, la Russia è stata dominata da Zar, dittatori spietati, presidenti feroci. I russi la democrazia non sanno nemmeno cos’è. Magari la vorrebbero pure, ma per loro è un mondo sconosciuto.
Le televisioni sono controllate, i giornali anche. E, facendo un salto in avanti nell’epoca moderna, anche i social. Tranne uno: Telegram. Creata nel 2016, la piattaforma nacque su iniziativa dello stesso Durov, con l’obiettivo di garantire la libertà di espressione e la privacy, aggirare la censura ed i controlli politici, specie nei Paesi i cui capi assoluti controllano tutto, anche l’aria. Di fatto, Telegram è nato per combattere Vladimir Putin. Lo stesso Durov nel 2014, si rifiutò di consegnare al Governo i dati personali di un gruppo attivo su VK (il “Facebook russo”) che protestava apertamente contro Putin. Ed anzi, dichiarò: “Preferisco essere libero che prendere ordini da qualcuno“, per poi fuggire.
Diversi blogger o dissidenti, durante la guerra in Ucraina in corso, hanno utilizzato proprio Telegram per rendere pubbliche determinate atrocità ed esporsi contro il capo del Cremlino. E’ il più potente mezzo di informazione libera ed alternativa in Russia.
L’altra faccia della medaglia
Ogni medaglia ha due facce. E per ogni pro c’è un rispettivo contro. A seguito dell’arresto di Durov, Mosca ha tuonato contro le autorità francesi: “Abbiamo immediatamente chiesto alle autorità francesi di spiegare le ragioni della sua detenzione e abbiamo chiesto che i suoi diritti siano protetti e che gli sia concesso l’accesso consolare. Finora, la parte francese continua a rifiutarsi di collaborare su questo tema“. Ma perchè Mosca è così preoccupata delle sorti di un uomo che ha un pessimo rapporto con la sua terra d’origine? Beh, molto semplice. Se è vero che Telegram è usato dagli oppositori, è anche il più grande veicolo di propaganda dei Governi. E’ una piattaforma semplice, diretta, immediata, instantanea, che arriva a chiunque. Parte della propaganda di guerra è costruita lì. E il Cremlino ha disperato bisogno della propaganda, specie ora che la Russia ha la guerra in casa, dopo l’avanzata ucraina nella regione di Kursk. Una vera e propria umiliazione per Putin e compagni.
E non solo, c’è anche un altro problema che spaventa Mosca. Ovvero che Telegram, di “sangue” russo, possa finire sotto il controllo dell’Occidente, che già domina la scena delle app di messaggistica, specie con WhatsApp (americano). Altro che guerra fredda, questa è guerra ibrida a tutti gli effetti.
Telegram-Russia, problema e necessità
Telegram insomma per Mosca è sia un problema sia una necessità, e questo spiega le reazioni un po’ contraddittorie di queste ore. Il commissario russo per i diritti umani, Tatyana Moskalkova, ha dichiarato che il suo arresto è “un tentativo di chiudere una piattaforma internet dove le persone possono conoscere la verità su ciò che accade nel mondo”.
Troppa libertà?
L’arresto di Durov però, oltre a tutto ciò, pone anche altri interrogativi. La magistratura francese ha avvisato alcune pesanti irregolarità di Telegram come la mancanza di moderazione e di cooperazione con le forze dell’ordine, la presenza di numerosi strumenti, come lo scambio di criptovalute, che renderebbero la piattaforma complice di attività come scommesse illegali, traffico di droga. frodi, terrorismo, pedopornografia. Le accuse, tutte da dimostrare, costringono ad una riflessione. Se da una parte è uno strumento per coloro che sono in cerca di libertà e tramite esso vogliono propagarla, è altrettanto vero che quella stessa libertà non controllata sarebbe causa di gravissimi reati. La domanda finale, dunque, è questa: come si può trovare una via di mezzo, nell’epoca in cui la comunicazione sui social media ha superato quella dei mezzi d’informazione tradizionali?
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