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Militari italiani in Libano: a cosa serve tenerli ancora lì?

4 ottobre 2024 | 12:08
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Militari italiani in Libano: a cosa serve tenerli ancora lì?

Quando nacque l’Unifil nel 1978, la missione Onu per la quale i soldati si trovano in Libano, il mondo era diverso: quei presupposti sembrano non esserci più e i confini già sono stati violati

Beirut, 4 ottobre 2024 – Forse non tutti lo sanno (o forse si, dato che il dibattito è improvvisamente diventato di dominio pubblico), ma un contingente di circa 1200 soldati sta attualmente prestando servizio in Libano, nell’ambito della missione delle Nazioni Unite Unifil: si tratta di una forza militare di interposizione, creata il 19 marzo 1978 con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza. Il mandato, che in teoria doveva essere provvisorio, è stato rinnovato più volte, dal 1982, in seguito al ritiro delle truppe israeliane dal Libano del 2000 e in occasione dell’intervento israeliano in Libano del 2006. Insomma, una zona cuscinetto nella cosiddetta Blue Line, tra Libano del sud, Israele e un pezzetto di Siria. Un mandato rinnovato più volte, una forza di interposizione che non può mettersi a combattere. In soldoni: i soldati italiani – e tutti gli altri – sono lì per garantire la pace ed il rispetto del confine tra Israele e Libano, non per fare la guerra. 

Bene, ottimi i presupposti dell’epoca.Purtroppo però, il mondo è cambiato. In peggio, naturalmente, dal punto di vista militare. I confini sono stati violati: le truppe israeliane sono tornate su suolo libanese, dopo raffiche di bombardamenti volte a colpire e smantellare Hezbollah, almeno stando alla versione del Governo israeliano e dell’esercito. Pace? Ammesso che ci sia mai stata sul serio, è solo un lontano ricordo. Non di certo per responsabilità dei militari Onu, ma fatto sta che non sono riusciti a portare a termine gli obiettivi prefissati nell’ormai lontanissimo ‘78.

I già fragili equilibri sono ormai completamente saltati, ed i presupposti per cui nacque la missione Unifil non esistono più. Garantire la pace non è più possibile, ed il massimo che gli eserciti possono fare è quello di evacuare le città (ipotesi che, per il momento, è stata esclusa dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, come si può leggere qui). Secondo indiscrezioni, però, non è all’ordine del giorno il ritorno dei soldati in patria, con l’ipotesi che sarebbe presa in considerazione solo in caso di “grave escalation“. Ma se questa non è già una “grave escalation”, cosa dobbiamo aspettare che succeda?

Proprio le forze militari israeliane hanno colpito il valico di Masnaa fra Libano e Siria, bloccando così la strada usata da centinaia di migliaia di profughi negli ultimi giorni per fuggire dai raid dell’Idf in Libano, ha reso noto il ministro dei trasporti libanese, Ali Hamieh. Il raid ha creato un cratere largo quattro metri. Ulteriore testimonianza, di cui avremmo fatto volentieri a meno, di come il Medio Oriente sia una polveriera, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere completamente da un momento all’altro. Sono già 178 italiani sono tornati in patria grazie ad un volo charter atterrato a Fiumicino e nei prossimi giorni se ne organizzeranno altri, con Tajani che ogni giorno pressa affinché tutti i nostri connazionali lascino il Libano. Dunque, chiosa finale: non sarebbe meglio riportarli a casa? (Foto: esercito.difesa.it)

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