LA RICORRENZA

7 ottobre, un anno dopo. Netanyahu ha reso Israele meno sicuro

7 ottobre 2024 | 00:00
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7 ottobre, un anno dopo. Netanyahu ha reso Israele meno sicuro

L’attentato di Hamas provocò oltre 1000 morti. La vendetta di Tel Aviv fu prima feroce, poi sproporzionata, in nome della “sicurezza” di Israele. Ma i fatti dicono altro

Tel Aviv, 7 ottobre 2024 – Oggi, 7 ottobre 2024, si celebra il primo tragico anniversario dell’attentato terroristico di Hamas su Israele. Una pioggia di razzi causò la morte di 12000 israeliani, centinaia di dispersi e circa 247 ostaggi (molti di loro ancora nelle mani dei terroristi. A ciò vanno aggiunti gli stupri, le violenze, gli sgozzamenti di fronte ai familiari, gli altri orrori vari. Il Medio Oriente, fino a quel momento in bilico su un fragilissimo equilibrio – un filo talmente sottile che sarebbero bastate un paio di forbici) – ripiombò nel caos dopo gli attacchi provenienti dalla Striscia di Gaza, riportando in auge la questione israelo-palestinese, quisciente ma mai dormiente. La reazione israeliana a quell’attentato è stata feroce prima, sproporzionata poi. In un solo anno, sono morti oltre 40mila civili palestinesi (tra cui migliaia di bambini), e quelli che sono ancora in vita, devono tentare di sopravvivere in un territorio minuscolo da cui è impossibile fuggire, una prigione a cielo aperto dalla quale non si può scappare, dato che le forze israeliane controllano i varchi ai confini.

Il premier Benjamin Netanyahu, il più longevo nella storia del paese, pochi giorni fa ha avuto il coraggio – se così si può chiamare – di affermare come l’Onu sia una “palude antisemita“, nel corso dell’Assemblea Generale. Proprio quell’Onu che, tramite una risoluzione del 1948 già citato, ha permesso ad Israele di esistere. Netanyahu, da un anno a questa parte, va dicendo che tutto ciò che fa è per la “sicurezza di Israele”. Ora, fermo restando che in nome dell’aleatoria “sicurezza” sono state commesse le più grandi atrocità della storia, poniamoci una domanda: lo Stato ebraico, dopo le azioni del suo premier e un anno dopo l’attentato di Hamas, è davvero più sicuro? Facciamo un’analisi.

Israele, 7 fronti aperti

Guardiamo i fatti. Ad oggi, Israele ha 7 fronti aperti: Gaza, la Cisgiordania, la Siria, lo Yemen, l’Iraq e soprattutto Iran e Libano, quest’ultimo appena bombardato e poi invaso. Gli obiettivi dichiarati sono sempre gli stessi: eliminare Hezbollah – il braccio armato iraniano a Beirut e dintorni – ed Hamas. Risultato? L’odio del mondo arabo (che comunque non ha mosso un dito per gli arabi palestinesi) nei confronti dello Stato ebraico è aumentato. Effettivamente, bombardare tutti i propri vicini non sembra essere una grande idea strategica. Pochi giorni fa Netanyahu se n’è uscito affermando che l’invasione del Libano è stata fatta per “liberare gli iraniani”. Piccolo problema, però: non gliel’hanno mai chiesto. Anche se la popolazione iraniana è completamente spaccata al suo interno, tra chi ama e chi odia l’Ayatollah, tutti sono compatti nel non volere gli israeliani dentro casa.

Guerra diretta con l’Iran

A proposito di Iran: l’esercito israeliano, ormai da un anno, continua a provocare il regime di Teheran. Tenta di provocare la guerra diretta? Non è dato sapere, ma i presupposti sono pessimi. Ha cominciato con il bombardamento del consolato a Damasco, un attacco a cui l’Iran ha risposto in maniera blanda e telefonata, tanto per salvare la faccia. Poi si è arrivati alla guerra diretta con Hezbollah, che ha portato all’uccisione del leader Nasrallah. Anche in questo caso, almeno per adesso, l’Ayatollah non ha ordinato vendette particolarmente sanguinarie ma solo simboliche: questo perchè l’Iran non vuole la guerra, dato che non può permettersela. E’ un Paese fortemente indebolito da decenni di sanzioni occidentali, in cui metà della popolazione vorrebbe la cacciata dell’Ayatollah (specie le giovani donne), in cui dilaga la povertà. Non potrebbe permettersi nessuna guerra con Israele, dato che la perderebbe, forse anche molto velocemente. Ma ciò non toglie che un eventuale conflitto dell’Iran potrebbe essere la pietra tombale: in caso, cosa farebbero gli Stati Uniti, nemici giurati degli iraniani e al contempo i più grandi alleati di Israele? A sentire Trump, che dal 20 gennaio potrebbe entrare in funzione come nuovo presidente degli Stati Uniti, l’esercito israeliano dovrebbe “bombardare i siti nucleari iraniani“: speriamo che Netanyahu non lo ascolti.

L’erroneo termine “guerra”

Spesso si dice che è in corso una “guerra” nella Striscia di Gaza. Senza perdersi in parole, è semplicemente una narrazione sbagliata: in Palestina non c’è nessuna guerra, ma una campagna militare condotta dalle forze di difesa israeliane, in cui a morire sono quasi solo i civili. Come la storia insegna (soprattutto dopo l’11 settembre e dopo l’attentato al Bataclan nel 2015) che i terroristi non si combattono con le truppe: sono cellule sparse in tutte il mondo, non sempre coordinate tra loro, i cui leader cercano di trovare un rifugio comodo e sicuro. Ed anche se alcuni esponenti di spicco di Hamas sono stati effettivamente uccisi, molti di loro sono ancora in piene forze. Combattere una presunta “guerra” contro i terroristi – quando invece servirebbero azioni mirate, coordinate e preparate – ha un solo effetto: moltiplicarli.

Andreotti disse: “Ognuno di noi se fosse nato in un campo di concentramento e da 50 anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire sarebbe un terrorista”. Quale prospettiva futura può avere un bambino che ha visto morire i suoi genitori, nonni, fratelli, sorelli ed amichetti? Nessuna, se non quella di vendicarsi e, quindi, di “arruolarsi”.

Con Netanyahu, la Palestina non avrà il suo stato

Il sostegno occidentale – storicamente vicino a Israele fin dal 1948, anno della sua nascita – è andato via via scemando, almeno a chiacchiere. I leader internazionali, se inizialmente si erano schierati con Tel Aviv senza se e senza ma, sono sempre più imbarazzanti nel dichiararsi al fianco di Netanyahu. Anche perchè sulla testa del premier israeliano (ma non solo la sua) pende un mandato di cattura emesso dalla Corte Penale Internazionale, quest’ultima riconosciuta da quasi tutto l’Occidente, mentre lo Stato d’Israele è attualmente alla sbarra per genocidio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia.

Bibi è capo di un governo in cui a prendere il sopravvento sono i falchi di estrema destra che vogliono la cancellazione della Palestina. E anche per lo stesso Bibi, la “questione palestinese” prima citata, per lui non esiste: con lui al potere, la Palestina non avrà mai un suo stato. Con questa promessa, ci ha vinto le campagne elettorali. Una visione che si scontra con quella Occidentale, che “spinge” per la soluzione 2 popoli e 2 stati. Come se ne esce? Mancando statisti di altissimo livello, in Israele come dappertutto, è una domanda da un milione di dollari. (Foto: Wikipedia)

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