LA RECENSIONE

Mr. McMahon: la recensione

7 ottobre 2024 | 23:17
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Mr. McMahon: la recensione
Credit photo: corporate.wwe.com - World Wrestling Entertainment's official Web Site

Per decenni padrone della WWE, Netflix gli ha dedicato un docuserie. Ma ha fallito nel suo intento centrale dichiarato nella prima puntata (ammesso che lo fosse sul serio): scoprire l’uomo che si cela dietro il suo personaggio

Lo ammetto: ho seguito la World Wrestling Entertainment (WWE), compagnia di wrestling americana, per più di un decennio abbondante. Sono stati gli anni della mia infanzia, l’adolescenza e della prima maturità. Ho cominciato, come tutti, grazie alla trasmissione di Smackdown in prima serata su Italia 1, l’imperdibile appuntamento del sabato sera, con il commento di Giacomo Ciccio Valenti e Christian Recalcati: ricordi indelebili. Erano gli anni del boom del wrestling in Italia. Poi, dopo l’omicidio-suicidio di Chris Benoit nel 2007, che uccise moglie e figlio piccolo prima di togliersi la vita, è cambiato tutto: la WWE ha smesso di andare in onda sul digitale terrestre a causa del pessimo impatto che la tragedia ha avuto sulla disciplina.

Il caso Benoit rischiò di essere la pietra tombale della WWE, specie in Italia, Paese in cui ha sempre dovuto combattere contro maldicenze, incompetenza allo sbaraglio di commentatori che non sapevano (e non sanno tutt’ora) pronunciare correttamente i nomi di atleti e mosse tipiche, e pregiudizi. Per fortuna poi è arrivato Sky ed il wrestling è tornato in onda sulla tv privata, con tanto di PPV (gli eventi più importanti). Ora, da pochi anni, la WWE viene trasmessa su Discovery, con orari diversi e purtroppo molto meno comodi.

Il wrestling non è finto, ma predeterminato (2 cose diverse)

Ultima premessa, fondamentale. Chiariamolo una volta per tutte: il wrestling non è finto. E’ predeterminato, che è una cosa totalmente diverso: significa che chi vince si decide a tavolino. E’ come le trame di film e serie tv, non cambia assolutamente nulla: con la semplice differenza che i voli che vedete in televisione non sono fatti dall’intelligenza artificiale, ma dagli atleti in carne ed ossa. Li ho visti con i miei occhi. Ci sono lottatori che si sono operati anche più di 20 volte in carriera a causa dei colpi subiti. Altro che “finto“. Certo, non è l’MMA: i colpi sono ben attutiti, c’è complicità tra chi attacca e chi difende, ci sono tutte le precauzioni del caso. Ma spesso e volentieri, anche per sbaglio, se le danno di santa ragione.

Mr McMahon: la recensione del documentario

Parliamo del documentario, composto da 6 puntate. Appena finito, ho avuto l’impressione che inizialmente dovesse essere una trovata pubblicitaria sulla WWE e sul suo capo McMahon, per pubblicizzare l’imminente sbarco della compagnia su Netflix. Poi, una volta rese pubblicate le accuse al boss, il quale è sotto indagine federale per violenza sessuale e traffico sessuale, hanno cambiato le carte in tavola. Non avrò mai la certezza se la mia intuizione sia vera o no, ma sembra un documentario di elogio, piuttosto che un lavoro d’incalzo com’era stato presentato. In alcune puntate, il protagonista non è nemmeno lui, ma la compagnia e come si è evoluta dagli anni ’80 ad oggi. A tratti, il vero protagonista sembra Hulk Hogan.

Solo l’ultima puntata è stata incentrata – solo per la metà, a dire il vero – sugli ultimi scandali sessuali. Scandali su cui, tra l’altro, Netflix ci è andata molto cauta, visto che al momento Vince McMahon non è stato condannato da nessun tribunale. Per il resto, è un elogio continuo. A volte velato, a volte più esplicito, ma rimane un elogio. Vince ne esce come un genio nel suo lavoro, un animale del marketing, un uomo influente a livello politico, un esempio da seguire per la concorrenza, che però non ha nemmeno il tempo di osservarlo che già viene divorata.

Inoltre, c’è un punto. La docuserie nella prima puntata prometteva di scoprire chi fosse l’uomo che si celava dietro il personaggio. Ci è riuscita? Ammesso che fosse quello il vero intento – cosa di cui dubito -assolutamente no. Tranne qualche sporadica scena in cui ci si è buttati nel suo passato da giovane, per il resto non ci sono mai stati approfondimenti su questioni controverse riguardanti il wrestling. Insomma, sono troppi gli elementi che mi fanno pensare ad una geniale mossa di marketing: pubblicizzare al massimo la WWE, che sbarcherà molto presto sulla piattaforma, camuffando il tutto con una presunta indagine giornalistica o documentale su Mr.McMahon.

Insomma, riassumo: documentario bellissimo, spettacolare uso di luci, fotografie, interviste, rivelazioni. Lo consiglio a chiunque. Ma è un bellissimo documentario sulla WWE, non su McMahon e sicuramente non sull’uomo Vince, dato che nessuno ha ancora capito chi sia in realtà. Conosciamo solo ciò che lui stesso decide di mostrarci in tv: il capo autoritario e despota, che umilia i suoi atleti (comprese le donne) ed il pubblico, che ama concedersi vizi senza nemmeno nasconderli. Ma quello non è lui, è solo il personaggio che interpreta. O almeno, così dice lui.  Molti dei suoi ex dipendenti, ovvero i lottatori, dicono che “Mr.McMahon è una versione esagerata di Vince”. Ai posteri l’ardua sentenza…

Chi è Mr.McMahon

Chi ha visto la docuserie, pur non conoscendolo prima d’ora, dovrebbe averlo capito: McMahon è un imprenditore spregiudicato, che non si fa nessun tipo di scrupolo nell’ottenere ciò che vuole, sbaragliando e divorando la concorrenza e chiunque provi a mettersi sul suo cammino. Ha ereditato la WWE da suo padre e l’ha resa una macchina da guerra multi-miliardaria, capace di far concorrenza all’NBA e all’NFL, impresa che sembrava titanica. Ed in effetti sarebbe stato così per chiunque, ma non per Vince. Ha creato dei miti che hanno segnato l’America, da Hulk Hogan a John Cena. Personalità talmente influenti da andare ben oltre la disciplina.

Basti pensare che Hogan è stato usato da Trump per la sua campagna elettorale e Cena è stato uno degli annunciatori all’ultima notte degli oscar (dove si è presentato nudo e senza essere presentato, dato che tutti già sapevano chi fosse). Dwayne Johnson, anche conosciuto come The Rock, prima di diventare l’attore più pagato di Hollywood era un wrestler WWE (ed ancora oggi collabora). Così, tanto per farvi capire l’influenza che il wrestling ha in America. E a proposito di Trump, addirittura il Tycoon ha collaborato con la compagnia nel 2007 (un fatto che gli ha causato svariati meme ironici o avversi).

McMahon è il classico stereotipo dell’imprenditore americano (a questo punto, tuttavia, parlare di “stereotipi” è molto forzato, essendo la realtà): il business è il business, conta più di tutto, anche dei rapporti personali. Forse questa sua spietatezza nel mercato deriva dal fatto che ha passato un’infanzia terribile, picchiato dal patrigno. O forse era semplicemente destino fosse così. L’obiettivo è solo uno: fare soldi a valanga, dando al pubblico ciò che esso vuole. Giusto? Sbagliato? Non lo so, ma so che in America funziona così. A costo di cavalcare i drammi, come la guerra in Iraq, per creare delle storie in grado di mandare il pubblico in estasi. Le emozioni generano denaro.

E a proposito di “rapporti personali”, McMahon dimostra come – almeno nella sua ottica – non contino nulla sul lavoro. Ha ri-assunto lottatori che se n’erano andati alla concorrenza, col rischio di mandarlo in bancarotta, o persone che contro di lui avevano indetto cause milionarie. Il motivo? Il bene della WWE, come sempre. L’unica creatura per cui darebbe la sua vita a qualunque costo. Ma, al tempo stesso, è pronto a farli fuori, tradirli umiliarli in diretta televisiva, se diventano un problema (come nel caso dello Screwjob di Montreal, di cui vi lascio il link della pagina Wikipedia dedicata).

Insomma, è molto di più che un semplice imprenditore multimiliardario. E’ il simbolo dell’America esagerata, amante dello spettacolo, dei vizi, degli eccessi. Non è mai andato controcorrente, ha sempre cavalcato le onde, ha dato al pubblico ciò che voleva, anche a costo di sfidare il proprio orgoglio. Si è anche umiliato in diretta, alle volte. Spesso e volentieri, ha sfruttato i difetti più beceri della popolazione per un proprio tornaconto economico. Insomma: lui non ha inventato nulla, ha solo rappresentato la realtà del momento – realtà che è cambiata nel corso dei suoi 40 anni al comando, e a cui si è prontamente adeguato -.

Gli scandali sessuali

Ora, il 79enne non è più il capo della WWE, è finita un’era (anzi ne sono finite almeno 4, dato che era il capo dal 1984). Si è dovuto fare da parte dopo essere finito nel mirino dei federali a causa di alcuni scandali sessuali, che lo hanno messo letteralmente in ginocchio. Le accuse sono gravissime, e sono ben spiegate nell’ultima puntata del documentario, con tanto di interviste e approfondimenti. Accuse talmente gravi a tal punto da costringerlo ad arrendersi, cosa mai fatta in vita sua. Vince dovrà difendersi sul “ring” del Tribunale. Ma questa volta, non si tratta di una sua creatura od una storia di cui conosce (e decide) il finale. McMahon in vita sua ha superato tutto, anche di fronte alle corti di giustizia. Superò, ad esempio, lo scandalo steroidi che travolse la compagnia negli anni ’80, tanto per citare quello più eclatante. Ne uscirà indenne anche stavolta? (Credit photo: corporate.wwe.com – World Wrestling Entertainment’s official Web Site)

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