Indagini su olio adulterato: due ristoratori di Fiumicino accusati (e scagionati) di frode
Due ristoranti di Fiumicino finiscono al centro di un’inchiesta per l’uso di olio adulterato con clorofilla e betacarotene. Ma il Tribunale respinge la richiesta di misura cautelare.
Roma – Le accuse erano pesantissime: associazione a delinquere, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, frode nell’esercizio del commercio e ricettazione. Nel mirino due ristoratori di Fiumicino, accusati di aver utilizzato nei propri locali, e venduto sul mercato di Roma, in combutta con fraudolenti intermediari, olio adulterato.
L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, si è concentrata su due noti ristoranti di Fiumicino. Le accuse a carico dei titolari riguardavano la presunta commercializzazione di olio extravergine di oliva contraffatto, prodotto con l’aggiunta di clorofilla e betacarotene, due additivi alimentari utilizzati per alterarne l’aspetto e le proprietà. Nonostante la gravità delle accuse e le richieste della Procura, il Tribunale del Riesame ha ridimensionato il quadro accusatorio, confermando soprattutto che non esisteva un effettivo pericolo per la salute pubblica.
Il rigetto dell’appello della Procura
La vicenda ha preso una svolta significativa lo scorso 23 settembre, quando il Tribunale del Riesame di Roma ha rigettato l’appello presentato dalla Procura contro la decisione del GIP, che già in precedenza aveva bocciato la richiesta di sospensione temporanea dell’attività imprenditoriale dei due ristoratori. Il Tribunale ha accolto le eccezioni sollevate dall’avvocato Gianfranco Carluccio, difensore dei ristoratori, sottolineando che le analisi tecniche condotte dall’ICQRF (Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari) non avevano evidenziato un rischio immediato per la salute.
Secondo quanto emerso dalle indagini, l’olio sequestrato effettivamente non era pienamente conforme agli standard di qualità richiesti, ma il Tribunale ha ritenuto che le accuse fossero basate su ipotesi e valutazioni prive di concretezza; i due ristoratori, infatti, erano stati a loro volta tratti in inganno da etichette contraffatte e peraltro, dopo aver inutilmente cercato di ottenere le fatture corrispondenti, avevano interrotto ogni rapporto. Infine, è stato rilevato come non vi fossero prove di contaminazione derivanti dall’ambiente in cui il prodotto era confezionato.
Incompetenza territoriale e ridimensionamento dell’accusa
Uno degli elementi chiave su cui si è basata la difesa è stata anche l’incompetenza territoriale del Tribunale di Roma. Secondo i legali, il centro dell’attività illecita sarebbe stato localizzato a Foggia, dove si trovava la sede dell’associazione dedita alla produzione dell’olio adulterato, mentre Roma era semplicemente il mercato di vendita del prodotto. Il Tribunale ha accolto questa eccezione, trasferendo la competenza alla Procura di Foggia.
I giudici hanno inoltre evidenziato come, durante l’operazione di sequestro, nei locali dei ristoratori sia stata trovata una sola latta di olio, sigillata, e che non vi fossero prove di contatti diretti tra i ristoratori e i presunti intermediari dopo l’agosto 2023.
La posizione dei ristoratori
I due ristoranti coinvolti, si trovano nel cuore di Fiumicino e sono molto noti nella zona. Entrambi i titolari, attraverso i loro legali, hanno sempre negato ogni coinvolgimento diretto nelle attività di sofisticazione del prodotto. La decisione del Tribunale del Riesame segna un passo importante nella loro difesa, con il ridimensionamento delle accuse che riduce l’impatto di un’inchiesta che aveva suscitato scalpore.
Credit Ph: foto di Mareefe da Pixabay
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