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Medio Oriente. La controversa posizione degli Stati Uniti

27 ottobre 2024 | 02:43
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Medio Oriente. La controversa posizione degli Stati Uniti

Da ormai oltre un anno, la Casa Bianca continua a dividere il proprio il raggio d’azione: da un lato intima pubblicamente ad Israele di fermarsi, dall’altro lo riempie di armi. Ma non si può stare col piede in due scarpe

Teheran, 27 ottobre 2024 – Dopo quasi un mese di attesa, la risposta è arrivata. Con un massiccio attacco di raid su obiettivi militari e radar, Israele si è vendicato nei confronti dell’acerrimo nemico iraniano, dopo l’offensiva lanciata dal regime degli Ayatollah ad inizio ottobre. Lo Stato ebraico ha dispiegato un centinaio di aerei, eludendo le fragili difese antiaeree iraniane: stando alle informazioni in nostro possesso, in tre ore sono stati centrati almeno venti tra siti militari, postazioni di missili e sistemi radar. Il premier Benjamin Netanyahu ha seguito tutto dal suo bunker, mentre l’Iran minimizza i danni. In effetti, più che un’azione diretta vera e propria, Tel Aviv ha voluto dare una dimostrazione di forza e della propria potenza militare: Axios scrive che Israele, tramite terzi, ha avvertito il regime iraniano qualche ora prima dell’attacco. Insomma si tratta di un botta e risposta a colpi di propaganda militare, quale va avanti da mesi. Gli attacchi e le rappresaglie per ora non hanno fatto precipitare definitivamente la situazione, ma rischiano di spezzare definitivamente il sottilissimo filo. E non è da escudere che l’obiettivo sia esattamente questo.

La posizione degli Stati Uniti

Secondo le fonti ufficiali, gli Stati Uniti non sarebbero coinvolti nell’attacco. La Casa Bianca, immediatamente dopo l’attacco israeliano, ha fatto sapere di non avere nulla a che fare, respingendo al mittente le accuse ancor prima che arrivassero. “L’Iran a cessare i suoi attacchi contro Israele in modo che questo ciclo di combattimenti possa concludersi senza ulteriore escalation“, ha affermato il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Sean Savett. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, il modo perfetto per non prendere posizione su un tema delicatissimo in America, a causa dell’imponente presenza della comunità ebraica: il rapporto con Israele.  

Da ormai oltre un anno imperversa il massacro di Gaza, e Washington non fa altro che contraddirsi da sola, almeno stando alle dichiarazioni pubbliche. A volte tramite messaggi indiretti, altre volte tramite interventi in prima persona delle alte sfere – compresi il presidente Biden e la sua vice, nonchè candidata, Kamala Harris – la Casa Bianca sembra strigliare il governo israeliano, intimandolo al “rispetto dei diritti umani” o cose di questo tipo. Biden e Netanyahu pare che non si sopportino, con il presidente americano stufo dell’atteggiamento oltranzista del premier israeliano. Poi però, nei fatti, l’Amministrazione americana continua a riempire di armi Israele, storico alleato fin dal 1948, quando una risoluzione dell’Onu permise la creazione dello Stato ebraico dopo l’orrore della Shoah nazista. Ma delle due l’una: Israele deve fermarsi o deve essere armato?

Trump ha già scelto, Kamala (e Biden) no

Trump, dal canto suo, ha già scelto: al fianco di Israele, senza se e senza ma. Discutibile o meno, l’ex tycoon dimostra di avere le idee chiare le argomento, mentre lo stesso non si può dire di Kamala Harris (e dunque di Biden). Lanciare continui moniti nei confronti di Tel Aviv, ma al tempo stesso dandogli armi su armi, denota una confusione totale. Da un lato c’è il bisogno di differenziarsi da Trump, dall’altro quello di tenere a bada la comunità ebraica in America.

Secondo un sondaggio pubblicato nel 2020 dal Pew Research Center, sarebbero 7.5 milioni gli ebrei residenti sul territorio statunitense, e di questi 5.8 milioni sono adulti. Trump – che più volte ha chiamato Netanyahu per esprimergli il suo sostegno ed invitandolo ad andare avanti – cerca di prenderseli tutti, confidando che abbiano la sua stessa idea. Di certo, a Netanyahu la vittoria di Trump non dispiacerebbe affatto. Dall’altra parte, invece, Kamala e Biden non sanno dove sbattere la testa. Il tempo scorre, il 5 novembre (election day statunitense) è alle porte. E il tempo per prendere una vera posizione, ormai, non c’è più. (Foto: it.usembassy.gov)

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