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Come funziona il sistema elettorale americano: la guida completa

4 novembre 2024 | 22:05
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Come funziona il sistema elettorale americano: la guida completa

Il countdown sta per scadere: martedì 5 novembre, gli americani saranno chiamati a scegliere il loro nuovo Presidente. Ecco come funziona il complesso meccanismo che porterà alla vittoria di Kamala Harris o Donald Trump

Washington, 4 novembre 2024 – Ormai ci siamo, il countdown sta per scadere. Tra pochissime ore, martedì 5 novembre, milioni di cittadini americani saranno chiamati a scegliere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. I due candidati principali sono Kamala Harris, attuale vice presidente e rappresentante dei Democratici, e Donald Trump, il capo dei Repubblicani che punta al suo secondo mandato. In alcuni Stati le urne sono aperte da circa un mese, con circa 75 milioni di americani che hanno già votato (negli Usa si può votare anche per posta), ma l’election day vero e proprio inizierà solo domani.

Si tratta di una tornata elettorale cruciale, specie per le ripercussioni che potrebbe avere sulle grandi questioni internazionali, come Ucraina e Medio Oriente. Tuttavia, il sistema elettorale americano non è così semplice come lo si può immaginare, ma anzi gode di un meccanismo tutto suo. Di seguito, dunque, analizziamo punto per punto il processo che porterà al nuovo inquilino della Casa Bianca, in cui ci resterà per 4 anni.

Non si vota il presidente, ma i grandi elettori

Sfatiamo un mito: gli americani non eleggono direttamente il loro Presidente. Non formalmente, almeno. I cittadini statunitensi, infatti, delegano la nomina a 538 grandi elettori che, un mese dopo, s’incontreranno e voteranno il nuovo leader del mondo libero. Per diventare presidente, dunque, bisogna conquistare un numero di grandi elettori superiore a quello del proprio avversario: vince chi ne ottiene almeno 270, ovvero la metà più uno dei 538 totali. I grandi elettori si dividono in varie categorie: possono essere attivisti, membri dei partiti o anche pubblici ufficiali dello Stato.

Ad ogni Stato è assegnato un numero specifico di grandi elettori, in base alla popolazione residente in ciascuno dei 50 Stati membri. Ad ogni modo, non possono mai essere inferiori a 3: questo per garantire rappresentanza anche agli Stati meno popolosi.

Non vince chi ottiene più preferenze

Tutto ciò, dunque, significa una cosa sola: ottenere un maggior numero di preferenze rispetto al proprio avversario non è sufficiente a diventare presidente. Fu un caso eclatante quello del 2016 quando Hilary Clinton, candidata dei Democratici, ottenne 3 milioni di preferenze in più rispetto a Trump. Quest’ultimo, però, ebbe più grandi elettori, che garantirono all’ex tycoon di trasferirsi alla Casa Bianca. Mai come in questo caso, uno non vale uno: ogni Stato ha un peso specifico diverso.

Cosa sono i Swing States e perchè sono decisivi

Il termine “Swing State” è uno dei più ricorrenti su giornali e siti di tutto il mondo: ciò a ragion veduta. Già, perchè se in molti Stati sembra sicuro la vittoria di uno o dell’altra, a causa della profondissima matrice ideologica presente sul territorio (sia essa Democratica o Repubblicana), ce ne sono 7 in cui  è sempre tutto in bilico. Stiamo parlando di Arizona, Nevada, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, North Carolina e Georgia. Si tratta di Stati che potrebbero votare da una parte come dall’altra: chi tra Trump ed Harris ne conquisterà di più, sarà il nuovo presidente eletto.

E’ bene fare una precisazione: nelle elezioni, specie se americane, ci si devono sempre aspettare sorprese. Un esempio? Stando agli ultimi sondaggi, Kamala Harris starebbe recuperando parecchio terreno in Florida e Iowa, entrambi stati di matrice repubblicana e che, dunque, dovrebbero essere fedeli a Trump. Ma, come detto, le sorprese sono dietro l’angolo.

Il ruolo del Congresso

Una precisazione importante da fare riguarda il Congresso americano: quest’ultimo potrebbe avere una maggioranza di colore diverso rispetto a quella del presidente. Negli Stati Uniti, il Congresso è composto da due camere: la Camera dei Rappresentanti e il Senato. Ogni camera può avere una maggioranza di un partito diverso rispetto a quello del presidente. Questa situazione è nota come “divided government” (governo diviso) e può verificarsi quando, ad esempio, il presidente appartiene a un partito e il Congresso è controllato da un altro partito. In tali casi, le dinamiche legislative possono diventare più complesse, poiché il presidente e il Congresso potrebbero avere visioni e priorità diverse su questioni politiche e leggi da approvare.

A noi europei, questo sistema può apparire fonte d’instabilità ed immobilismo. Ma in realtà, in America, è prassi quotidiana. Fa parte di quel marcatissimo bilanciamento dei poteri che contraddistingue la democrazia statunitense, che di fatto impedisce al Presidente di turno di comportarsi come un capo e, nel caso più estremo, un dittatore. In questo modo, invece, il Presidente è sempre sotto torchio del partito avversario: anche perchè, per far passare una legge, è costretto a scendere a patti e trattative con il partito avversario. Insomma, chiunque vincerà tra Harris e Trump, dovrà vedersela con un Congresso che, molto probabilmente, sarà avverso.

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