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Violenza sulle donne, finché saranno considerate “oggetti” o “di proprietà” non c’è via d’uscita

25 novembre 2024 | 07:00
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Violenza sulle donne, finché saranno considerate “oggetti” o “di proprietà” non c’è via d’uscita

Non basta il Codice Rosso per fermare la violenza sulle donne. Serve un cambio culturale, soprattutto tra i giovani, che valorizzi la persona umana e rifiuti immagini di dominio e sottomissione.

La violenza sulle donne non accenna a diminuire. Nonostante strumenti legislativi come il Codice Rosso, i femminicidi continuano a funestare le cronache, rendendo evidente che non si tratta solo di un problema giudiziario, ma soprattutto culturale. Dietro ogni atto violento, c’è una visione distorta della donna, percepita non come persona autonoma e libera, ma come oggetto a disposizione, una proprietà di cui si può abusare o sbarazzarsi.

Questo terreno fertile per la sopraffazione si coltiva nei contesti quotidiani, dove il rispetto per l’altro fatica a radicarsi. È evidente che non basta reprimere i comportamenti violenti: occorre lavorare sull’origine del problema, educando fin da giovani al valore della persona umana. Non è retorica: è l’unica strada per un cambiamento reale.

Il Codice Rosso, nato con l’intento di accelerare i procedimenti giudiziari e le misure protettive per le vittime, si è rivelato insufficiente. Troppe donne denunciano ma restano in balia dei loro carnefici, perché le strutture di supporto sono carenti, la macchina burocratica lenta e la protezione inadeguata. Il dramma è che la legge interviene sempre “dopo”: ma il femminicidio non è mai un episodio isolato, bensì l’esito di una lunga catena di violenze spesso sottovalutate.

La vera prevenzione passa dalla cultura. Purtroppo, i giovani crescono in un contesto che spesso amplifica visioni distorte della realtà. Un esempio lampante è certa musica contemporanea, che normalizza la violenza e promuove immagini della donna come oggetto sottomesso. Si dice che questi prodotti intercettano un disagio già esistente, ma in realtà contribuiscono a legittimarlo e a renderlo ancora più radicato, soprattutto nelle menti dei ragazzi meno strutturati. La musica, i videoclip e i contenuti digitali non sono semplici “riflessi” della società: hanno un ruolo attivo nella formazione di modelli e comportamenti.

Non si tratta di censurare, ma di assumersi la responsabilità di proporre narrazioni diverse, che non perpetuino stereotipi nocivi. È un compito che spetta a tutti: alla scuola, alle famiglie, ai media, agli artisti.

Solo valorizzando la persona umana in quanto tale si può realmente valorizzare la donna. Un’educazione basata sul rispetto reciproco è il primo passo per abbattere le basi culturali della violenza. E questa educazione deve iniziare presto, coinvolgendo ragazzi e ragazze, mostrando che ogni forma di sopraffazione, fisica o psicologica, è incompatibile con la dignità umana.

La battaglia contro la violenza sulle donne non si vince con proclami né con leggi che restano inefficaci se non supportate da una cultura del rispetto. È un lavoro lungo, ma non c’è alternativa: ogni passo indietro è una concessione alla barbarie. È il momento di scegliere da che parte stare, ogni giorno, con ogni gesto, in ogni parola.

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