Da Craxi a Conte: i grandi “no” dell’Italia agli Stati Uniti
Manca meno di un mese all’insediamento del presidente Donald Trump. Gli americani dettano le regole, ma non sempre l’Italia le ha accettate
Washington, 23 dicembre 2024 – Donald Trump si appresta a tornare alla Casa Bianca, dopo la vittoria che ha ribadito la sua presa sull’America profonda. Il suo messaggio di “America First” è risuonato ancora una volta, promettendo una stagione di patriottismo senza compromessi e di politiche tagliate su misura esclusivamente per gli interessi americani. Dall’altra parte dell’Atlantico, però, l’Europa trema, guarda con preoccupazione a questo nuovo corso. A spaventare il Vecchio Continente è la minaccia delle maxi-tariffe doganali ventilate da Trump nei confronti dei prodotti europei, che il nuovo presidente potrebbe imporre già il primo giorno di mandato, con tutte le ricadute che ciò comporterebbe sulla nostra già fragile economia.
In questo scenario, c’è chi si chiede se qualcuno avrà il coraggio di alzare la testa. L’Italia, più di una volta, lo ha fatto. A dispetto di quel che crede l’opinione pubblica, Palazzo Chigi ha spesso alzato le barricate contro le volontà di Washington. In apparenza piccolo e marginale, il nostro Paese ha saputo opporsi persino ai giganti, dicendo “no” a decisioni che minacciavano la nostra sovranità. Da Sigonella ai dazi sul Made in Italy, la storia italiana è segnata da momenti di ribellione che ci hanno messo sotto i riflettori. E ora, con Trump pronto a dettare di nuovo le regole, quella tradizione di coraggio torna a essere più attuale che mai.
De Gasperi e la sfida all’egemonia americana
Negli anni del secondo dopoguerra, l’Italia era una nazione fragile, economicamente dipendente dagli aiuti del Piano Marshall e sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti. Eppure, il democristiano Alcide De Gasperi non esitò a opporsi a Washington su questioni strategiche. Nel 1949, durante i negoziati per l’ingresso dell’Italia nella NATO, De Gasperi si batté per evitare che l’Italia fosse ridotta a una semplice base logistica per le operazioni americane in Europa. La sua posizione fu chiara: l’Italia sarebbe stata un alleato, ma non un subordinato.
Craxi e Sigonella: il “no” che fece scuola
Uno degli episodi più iconici di sfida agli Stati Uniti avvenne nell’ottobre del 1985, sotto la presidenza del consiglio di Bettino Craxi. In quei giorni, la nave italiana Achille Lauro era stata dirottata da un commando di terroristi palestinesi del Fronte per la Liberazione della Palestina (FLP), che avevano preso in ostaggio l’equipaggio e i passeggeri. Durante il sequestro, i dirottatori assassinarono Leon Klinghoffer, un cittadino americano disabile, gettandone il corpo in mare. L’episodio scatenò un’ondata di indignazione internazionale, e gli Stati Uniti, guidati da Ronald Reagan, pretesero un intervento immediato per catturare i responsabili e portarli sul proprio suolo per processarli.
Dopo un complesso negoziato, l’azione diplomatica italiana portò alla resa dei dirottatori, che furono imbarcati su un aereo egiziano per essere trasferiti al Cairo. Tuttavia, l’aviazione statunitense intercettò il velivolo e lo costrinse ad atterrare nella base militare italiana di Sigonella, in Sicilia. Fu lì che si consumò uno dei momenti di maggiore tensione nelle relazioni tra Italia e Stati Uniti.
Ronald Reagan ordinò alle forze speciali americane di prelevare i terroristi direttamente sul territorio italiano, ma Bettino Craxi si oppose fermamente. Per il premier italiano, la questione era chiara: l’Italia, in quanto Stato sovrano, avrebbe gestito autonomamente la situazione, rispettando le proprie leggi e il diritto internazionale. Craxi non solo rifiutò di consegnare i dirottatori agli americani, ma ordinò ai carabinieri italiani di circondare i militari statunitensi che avevano preso posizione sulla pista della base. La scena era surreale: due alleati della NATO, armi in pugno, si fronteggiavano in uno scontro che avrebbe potuto degenerare.
Craxi dichiarò senza mezzi termini che la sovranità italiana non sarebbe stata calpestata, e che i terroristi sarebbero stati consegnati alla giustizia italiana, e non a quella americana. Fu un gesto audace, incredibilmente rischioso, che rischiava di compromettere le relazioni tra i due Paesi. Tuttavia, la fermezza del presidente del consiglio italiano ebbe la meglio. Dopo ore di tensione, gli americani cedettero, e i dirottatori furono presi in custodia dalle autorità italiane.
D’Alema e la guerra in Kosovo
Nel 1999, durante il conflitto in Kosovo, Massimo D’Alema si trovò a gestire un delicato equilibrio tra l’alleanza con gli Stati Uniti e le pressioni interne per evitare un coinvolgimento diretto nella guerra. Pur concedendo l’uso delle basi italiane, D’Alema si rifiutò di partecipare attivamente ai bombardamenti, suscitando il malcontento di Bill Clinton. La sua linea di condotta cercava di bilanciare la lealtà atlantica con una forte attenzione al rispetto del diritto internazionale.
Via della Seta: il gran rifiuto di Conte a Trump
Avvicinandoci ai giorni nostri, Giuseppe Conte si trovò nel 2019 ad affrontare un momento critico nei rapporti proprio con Donald Trump a causa della Via della Seta. L’Italia, sotto la sua guida, decise di aderire alla Belt and Road Initiative (BRI), il grande progetto infrastrutturale e commerciale lanciato dalla Cina. Con questa scelta, l’Italia divenne il primo Paese del G7 a firmare un memorandum d’intesa con Pechino, una decisione che attirò forti critiche dagli Stati Uniti.
Trump e la sua amministrazione consideravano la BRI una minaccia strategica, percependola come un tentativo di Pechino di espandere la propria influenza economica e politica nei Paesi occidentali. L’ingresso dell’Italia nella Via della Seta fu visto come un potenziale indebolimento del fronte occidentale contro la Cina. Trump espresse apertamente il suo disappunto, facendo pressioni affinché Conte ritirasse il sostegno all’iniziativa cinese. Ciò non avvenne, e Conte firmò quell’accordo, con buona pace di Trump (nonostante i due, come spesso detto da entrambi, abbiano un buon rapporto).
Italia-USA, quale futuro?
L’Italia, spesso vista come un partner secondario nelle relazioni internazionali, ha dimostrato più volte di essere capace di difendere i propri interessi anche di fronte alla più grande potenza mondiale. I “no” italiani agli Stati Uniti non sono mai stati capricci o ribellioni sterili, ma scelte strategiche, motivate dalla necessità di preservare la sovranità nazionale, l’identità economica e il ruolo del Paese nello scacchiere globale, giuste o sbagliate che fossero. E ora, con Trump di nuovo alla guida degli Stati Uniti, la lezione di quei momenti storici torna più che mai attuale. (Foto: it.usembassy.gov)
*Lorenzo Contigliozzi – corrispondente dagli Stati Uniti.
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