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A tu per tu con Nomadx, l’autore de “Te la do io l’Australia”

29 marzo 2025 | 13:47
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A tu per tu con Nomadx, l’autore de “Te la do io l’Australia”

Un viaggio esteriore dall’altra parte del globo ma anche un itinerario interiore, tra domande universali e prese di consapevolezza

29 marzo 2025- Ci sono viaggi che non sono solo viaggi; che iniziano con l’essere una semplice dislocazione spaziale e, alla fine e nel mezzo, diventano altro. E’ quello che succede in “Te la do io L’Australia“, l’opera prima di Nomadx, uno pseudonimo che dietro di sé nasconde un ragazzo che si fa emblema di una generazione in fuga. E così le pagine raccontano lo scorrere di paesaggi lontani dal nostro quotidiano, dall’altra parte del mondo, ma anche riflessioni personali e umanissime.  L’opera è acquistabile online al seguente link: https://www.amazon.it/Te-lAustralia-viaggio-Oceania-asiatico/dp/B0DQV8TRMF.

Abbiamo incontrato l’autore per discutere con lui di alcune delle tematiche affrontate tra le pagine.

Partiamo dalla fine.  Nell’ultimo capitolo scrivi: “E’ importante percorrere sentieri senza chiedersi dove stanno portando”; che poi, come dici più avanti, è la chiave della felicità. Ma, in una società orientata al fine, pensi questo sia davvero possibile?

Non è una domanda di facile risposta. In un occidente culturale dove tutto è basato tra passato presente e futuro , è difficile avere la serenità d’animo d’accettare che la vita rimane un’esperienza in qualche modo non pienamente comprensibile. E’ difficile, ma è possibile. Per me vuol dire gettare il cuore oltre l’ostacolo. Fa paura prendere un aereo quando non hai punti di riferimento. In certi momenti  quello che serve è accettare che non c’è una sintesi della mente. Altre volte hai delle buone opzioni per partire ma altre volte no.  Cercavo di accettare il fatto che non ci si comprende subito. Non era tutto chiaro quello che vivevo e non c’è una formula universale.

Com’è da intendersi questo libro? Ricorda un diario, ma anche un documentario, o certi scritti di antropologia.

L’ho iniziato come diario personale ma ad un certo punto ho pensato potesse essere utile anche per qualcun altro. Qualcuno che non conosco, proprio il lettore che prende in mano il libro. L’esigenza primaria era continuare a riflettere con me stesso ed il libro era per me. Mi sono detto , però,  che non si vive da soli, non ci si salva da soli, e quindi ho provato a dare anche degli strumenti agli altri per poter anche affrontare  vita con maggior leggerezza. Siamo sempre bombardati di aspettative sulla nostra vita e ci sentiamo incapaci ogni volta che qualcosa non va. La difficoltà, invece, se condivisa rende chi la prova meno solo.

Tra le pagine tocchi molti temi importanti che ricolleghi anche all’Italia, come lo sfruttamento dei rider. Il viaggio ti ha aiutato a mettere a fuoco le brutture di quella che noi siamo soliti chiamare casa?

Molto spesso siamo identificati nella nostra vita tanto da pensare che quello che ci accade è il centro dell’universo. Diamo per scontato una serie di cose.  Io non mi sarei mai accorto del mio privilegio di essere uomo, relativamente bianco, e un’altra serie di privilegi che ho in quanto essere umano cresciuto in Italia. Di questo te ne rendi conto quando attraversi paesi con caratteristiche diverse. Mi sono sentito bianco e scuro: il mondo è stratificato per classe sociale, genere e razza e tutto è relativo. Andarsene in altri luoghi, in altri mondi è utile: quando torni a casa ti rendi conto di quanto sia prezioso ciò che hai. Il viaggio può essere sicuramente uno strumento per conoscere il mondo e sé stessi.

In alcune pagine racconti di una forte esperienza di privazione che hai vissuto, su un’isola dove mancava acqua e cibo. Eppure, anche in quei giorni, sembravi sereno. Sei riuscito a conservare quell’esperienza quasi meditativa?

Ho sempre tentato di conservare l’isola dentro di me ma era evidente che una volta tornato a casa mi sarei dovuto riconnettere con i nostri spazi. Per questo motivo, non è sempre facile, richiede una presenza a sé,  quindi in parte sì e in parte no. Ogni giorno bisogna rinnovare un patto con sé per essere presenti alla propria vita. Questa ci iper-stimola, i messaggi e i modelli non ci aiutano ad essere presenti a noi stessi. Una dimensione di pace non è una cosa una volta vissuta torna in maniera automatica, bisogna lavorarci ma quella traccia rimane.