Come rispondere ai dazi sulle auto di Trump: Ferrari indica la via

A seguito dell’introduzione di dazi del 25% sulle auto importate negli Stati Uniti, Ferrari ha annunciato un aumento dei prezzi fino al 10% su determinati modelli. Il Cavallino alza la cresta mentre Trump rischia di sbandare
Washington, 30 marzo 2024 – Ferrari ha risposto. E come sempre, l’ha fatto alla sua maniera: senza urla, senza proclami, ma con una scelta precisa, decisa e dal significato molto più profondo di quanto sembri. A fronte dell’introduzione dei dazi al 25% imposti dall’amministrazione Trump sulle auto importate negli Stati Uniti, la casa di Maranello ha annunciato un aumento dei prezzi fino al 10% sui modelli venduti sul mercato americano. Una manovra tecnica? Certo, ma non solo: è una dichiarazione di principio.
Nello specifico, l’aumento scatterà su tutti gli ordini effettuati dopo il 2 aprile 2025 (giorno in cui entreranno in vigore le tariffe), ad eccezione delle famiglie Ferrari 296, SF90 e Roma, che resteranno al riparo dalle nuove condizioni doganali. Per gli altri modelli, il rincaro sarà “massimo del 10%”, in coordinamento con i concessionari, e calibrato sull’impatto reale delle nuove barriere commerciali.
Perchè aumentare i prezzi? Il brand non si svaluta
Aumentare il prezzo in risposta a un dazio non è un capriccio né una scelta di debolezza. È l’unico modo per non farsi stritolare. Davanti a un’imposta doganale del 25% per entrare nel mercato statunitense, un’azienda ha solo due possibilità: assorbire il costo e tagliare i propri margini di guadagno, oppure scaricarlo (almeno in parte) sul cliente finale. Ferrari ha scelto la seconda. E c’è un motivo molto semplice: può permetterselo.
Il pubblico Ferrari non è composto da consumatori qualunque. Non è influenzato da sconti, offerte o rateazioni aggressive. Un’auto Ferrari non si compra “perché costa meno di prima”: si compra per quello che rappresenta. L’aumento del 10% su un’auto da 300.000 dollari? Rilevante, certo. Ma irrilevante per chi ha deciso che una Ferrari è qualcosa che si possiede, non solo che si guida. Cedere al ricatto dei dazi significava accettare una svalutazione indiretta del marchio. Scontare i prezzi, tagliare i margini, piegarsi per mantenere la quota di mercato americana: tutto questo avrebbe potuto danneggiare il posizionamento stesso del Cavallino. Ferrari ha invece deciso di restare fedele a sé stessa: nessuno tocca la sua esclusività.
La sfida a Trump
Ma sotto la superficie c’è qualcosa di ancora più forte: una sfida implicita all’amministrazione Trump, mai dichiarata apertamente ma chiara nelle intenzioni. L’aumento dei prezzi non rappresenta soltanto una misura economica: è una mossa che ribalta le regole del gioco. Invece di subire, Ferrari sposta il peso dell’impatto direttamente sul mercato americano, facendo ricadere le conseguenze delle scelte protezioniste su consumatori, imprenditori e filiera statunitense. E tutto ciò mette Trump con le spalle al muro, dato che a venire danneggiati saranno i consumatori americani che lui dichiara di voler proteggere. Clichè. (Foto: Facebook @Ferrari)
*Lorenzo Contigliozzi – corrispondente dagli Stati Uniti.
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