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Per Turetta ergastolo senza aggravanti: “75 coltellate per inesperienza, non per crudeltà”

8 aprile 2025 | 18:45
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Per Turetta ergastolo senza aggravanti: “75 coltellate per inesperienza, non per crudeltà”

Quello di Turetta è un delitto in tre atti, che ha perseguito mantenendo la lucidità in ogni momento

8 aprile 2025- Filippo Turetta ha inferto 75 coltellate a Giulia Cecchettin l’11 novembre 2023 “per inesperienza e inabilità” non“per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”. Per questo i giudici della Corte d’Assise di Venezia lo scorso 3 dicembre hanno condannato all’ergastolo il giovane per l’omicidio dell’ex fidanzata, escludendo l’aggravante della crudeltà e dello stalking.

Nelle motivazioni della condanna di primo grado si legge anche che il giovane non merita le attenuanti generiche “alla luce della efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”. Turetta ha mantenuto “la lucidità” anche nelle fasi successive all’omicidio: quando coprì il corpo di Giulia con sacchi neri della spazzatura e lo lasciò lontano da strade battute o quando ormai senza benzina, senza denaro e senza cibo si consegnò alla polizia tedesca. Contro il riconoscimento delle attenuanti anche il fatto “che nelle ore immediatamente precedenti all’arresto egli abbia avuto cura di cancellare tutto il contenuto del suo dispositivo dà contezza dell’atteggiamento conservativo dell’imputato il quale, più che spinto dal rimorso o dal proposito di consegnarsi alle autorità, mirava evidentemente a contenere e minimizzare le conseguenze delle proprie abiette azioni. Obiettivo che ha poi continuato a perseguire anche nel corso dell’interrogatorio” quando non ha fatto cenno al contenuto, né ha fornito le password.

Esclusa l’aggravante della crudeltà

“L’aver inferto settantacinque coltellate non si ritiene che sia stato, per Turetta, un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima: come si vede nella videoregistrazione dell’ultima fase dell’azione omicidiaria, l’imputato ha aggredito Giulia Cecchettin attingendola con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca”, si legge nelle motivazioni dei giudici alla condanna.

“Non si ritiene che tale dinamica, certamente efferata, sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso: Turetta non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e ‘pulito’, cosi ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia ‘non c’era più'”, scrive la Corte facendo riferimento all’omicidio dell’11 novembre 2023.

“Egli ha dichiarato di essersi fermato quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’, ha dichiarato. Orbene, considerata la dinamica complessiva, come anche registrata dalle videocamere in Fossò, non si ritiene che la coltellata sull’occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva”, concludono i giudici.

Stalking non riconosciuto come aggravante

Pur riconoscendo in Filippo Turetta un atteggiamento ossessivo e persecutorio, i giudici della Corte d’Assise di Venezia non hanno riconosciuto lo stalking come aggravante. “Giulia Cecchettin certamente era vittima delle condotte oggettivamente moleste, prepotenti e vessatorie del Turetta ma non aveva paura di lui: ed è proprio per questo motivo che era stata proprio lei a dare appuntamento all’ex fidanzato, proponendogli di accompagnarla a fare acquisti in vista della laurea” poche ore prima che lui la accoltellasse, per ben 75 volte, l’11 novembre 2023. “Dalla lettura delle chat tra i due ragazzi, perfino quelle degli ultimi giorni, si coglie perfettamente come Giulia, pur avendo capito che Turetta era ossessionato da lei, fosse del tutto inconsapevole della pericolosità dello stesso e non provasse alcun timore di lui: nei vari messaggi la ragazza si rivolge a lui con toni arrabbiati, forse esasperati per l’insistenza e per la ostinata impermeabilità del Turetta di fronte a ogni suo tentativo di affrancazione da quelle che ella stessa chiaramente percepiva essere pretese insensate” aggiunge la Corte.

“Non solo gli stretti familiari della vittima, ma anche le amiche con cui si confidava e gli amici che conoscevano Filippo non hanno mai percepito in Giulia uno stato d’animo idoneo a configurare quello stato di ansia grave e perdurante richiesto dalla norma incriminatrice o un qualsivoglia timore per la propria incolumità”, si legge nelle motivazioni. Giulia Cecchettin “era ben consapevole sia della insensatezza delle pretese del Turetta sia del carattere manipolatorio delle affermazioni autolesionistiche di costui e si è visto come ella non si fosse piegata a tali pretese: e proprio per questo è stata uccisa”. “Giulia era semmai intimorita per lo stato di salute del Turetta, ma tale timore, che affondava le radici sul senso di colpa e sulla personalità generosa della giovane ragazza, non si è mai declinato in uno stato grave e perdurante di ansia“.

Turetta ha ucciso per rancore

“È provato”, si legge ancora, che Filippo Turetta “è arrivato all’appuntamento, il pomeriggio dell’11 novembre 2023, già pronto per l’aggressione” e “può anche riconoscersi che l’imputato abbia inferto i fendenti con concitazione, ma non per una reazione estemporanea e incontrollata quanto piuttosto per un rancore protratto, covato da giorni, e comunque ponderato per il tempo utile per programmare una linea di azione”.

“Affermare che l’omicidio sarebbe frutto di un momento di rabbia incontrollata sarebbe incompatibile con il fatto che Turetta abbia reiterato l’aggressione, portando a termine l’omicidio, dopo venti minuti dalla prima aggressione. La scelta del luogo in cui tale ultima azione è avvenuta (zona industriale di Fossò) non appare peraltro casuale”, scrivono i giudici nelle motivazioni con cui lo hanno condannato al massimo della pena per il delitto premeditato, escludendo le aggravanti della crudeltà e dello stalking. “Se fosse fondata la tesi difensiva e se Turetta avesse avuto una qualche incertezza circa il proposito omicida, egli si sarebbe certamente potuto fermare nel momento in cui Giulia, già ferita – come ha raccontato lo stesso imputato -, gli chiedeva ‘ma cosa stai facendo?’; allo stesso modo, se il proposito omicida non fosse stato in lui radicato, egli avrebbe potuto desistere nel momento in cui la ragazza aveva tentato di fuggire”.

Anche le azioni successive “fanno luce sul radicato proposito” di Turetta, il quale “ha agito con spietata lucidità subito dopo aver inferto le settantacinque coltellate, negli istanti immediatamente successivi, dando attuazione alla fase finale di quanto programmato, spegnendo il cellulare proprio e della vittima, recandosi direttamente a occultare il cadavere e avviandosi a una tenace fuga attraverso l’Austria e la Germania per i successivi sette giorni. Tenacia e lucidità manifestate fino a mezz’ora prima del suo arresto, quando ha provveduto a cancellare l’intero contenuto del suo telefono.

Un delitto in tre atti

I giudici di Venezia nelle motivazioni della sentenza di primo grado spiegano che le 75 coltellate non sono un gesto improvviso ma parte di un preciso piano omicida, “che ha attuato pedissequamente passo dopo passo per quattro giorni fino all’efferata azione conclusiva”. “Non vi sono elementi fattuali in atti da cui desumere che in quei quattro giorni egli avesse avuto tentennamenti o avesse receduto da tale proposito criminoso ma, al contrario, è documentato come – anche mentre incontrava la persona offesa o discuteva con lei – egli continuasse ad apprestare con cura l’organizzazione dei mezzi e a predisporre nel dettaglio le modalità esecutive”, si legge.

Il suo è un delitto in tre atti, con una durata complessiva di circa venti minuti: aggredisce la compagna di università nel parcheggio di Vigonovo, a pochi passi da casa Cecchettin, poi la accoltella lungo il percorso verso Fossò, quindi la finisce nell’area industriale. La ricarica in auto prima di disfarsi del cadavere dopo aver viaggiato per circa 100 chilometri, fino al lago di Barcis. Anche le azioni successive al delitto, scrivono i giudici di Venezia, dimostrano il “radicato proposito” di Turetta “il quale ha agito con spietata lucidità“: ha spento il cellulare proprio e della vittima, ha nascosto il cadavere, si è cambiato d’abito e ha dato il via a “una tenace fuga attraverso l’Austria e la Germania per i successivi sette giorni. Tenacia e lucidità manifestate fino a mezz’ora prima del suo arresto, quando ha provveduto a cancellare l’intero contenuto del suo telefono”.

Turetta per i giudici non confessa: “Si è limitato ad ammettere solo le circostanze per le quali vi era già ampia prova in atti: d’altra parte, tale condotta è in linea con il contegno tenuto in sede di primo interrogatorio, quando egli non solo ha sottaciuto ma ha apertamente mentito in ordine a diverse, anche gravi, circostanze poi emerse a seguito delle accurate indagini svolte”. L’apporto dato dall’imputato “è stato di fatto del tutto nullo”. Fonte: Adnkronos.it