Papa Francesco, infezione respiratoria e Bpco: quando le comorbidità compromettono il cuore

Gli specialisti analizzano il decorso clinico che ha portato al decesso del Papa, evidenziando l’interazione tra patologie croniche e infezione acuta.
Roma, 21 aprile 2025 – Il decesso di Papa Francesco avvenuto questa mattina ha sollevato l’attenzione della comunità scientifica per la complessità del suo quadro clinico. A spiegarne gli aspetti più critici sono due autorevoli specialisti italiani: Matteo Bassetti, infettivologo, e Claudio Micheletto, pneumologo. Entrambi concordano: a causare la morte è stato un evento cardiorespiratorio innescato da un’infezione respiratoria polimicrobica, peggiorata da una serie di comorbidità preesistenti.
Bassetti: “L’infezione ha avuto il sopravvento su un organismo fragile”
Secondo Bassetti, direttore delle Malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, il Papa affrontava da tempo infezioni respiratorie complesse, caratterizzate da un’origine polimicrobica, cioè sostenute da più agenti patogeni, in un contesto clinico altamente vulnerabile. “Avevo espresso perplessità sulla possibilità di una piena ripresa – ha dichiarato – perché conosciamo bene il decorso altalenante di queste infezioni, specie in soggetti con immunosoppressione indotta da terapia corticosteroidea, sovrappeso e età avanzata”.
In tali pazienti, spiega l’infettivologo, l’infezione tende a prevalere sul sistema immunitario, già compromesso. “Il caso del Papa ci ricorda che le malattie infettive non fanno distinzioni: anche il miglior trattamento può non essere sufficiente in presenza di un terreno clinico fragile. Serve investire nella ricerca per trovare nuove soluzioni contro le infezioni polmonari severe”.
Micheletto: “Insufficienza respiratoria e cuore, un binomio fatale”
A completare il quadro è l’analisi del dottor Claudio Micheletto, direttore dell’Unità operativa complessa di Pneumologia dell’Azienda ospedaliera universitaria di Verona e presidente dell’Associazione pneumologi ospedalieri italiani. Il clinico sottolinea come già nei giorni precedenti al decesso, Papa Francesco fosse stato visto con supporto di ossigenoterapia a basso flusso, chiaro segno di insufficienza respiratoria cronica ingravescente.
“Il Papa rientrava tra i pazienti con Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva) – ha spiegato Micheletto – una patologia che comporta un’importante compromissione ventilatoria e una mortalità post-ricovero stimata attorno al 20%. Quando l’ossigenazione crolla, anche il cuore entra in sofferenza, fino a precipitare in un arresto cardiaco secondario a crisi respiratoria acuta”.
La Bpco: una patologia sottovalutata ma ad alta mortalità
La broncopneumopatia cronica ostruttiva è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree, spesso legata a esposizione a fumo o inquinanti, che comporta una progressiva riduzione del flusso aereo. La sua evoluzione può portare a fasi di riacutizzazione, spesso innescate da infezioni batteriche o virali, che richiedono ricovero ospedaliero. In questi contesti, la combinazione tra alterata ventilazione alveolare, accumulo di CO₂, e ipossia sistemica può condurre rapidamente a scompenso cardiaco.
Il caso clinico del Santo Padre – spiegano i due specialisti – è paradigmatico: un soggetto fragile, colpito da un’infezione severa, con alle spalle una patologia respiratoria cronica e uno stato immunitario depresso. “Aveva già superato una crisi simile durante il ricovero al Policlinico Gemelli – ricorda Micheletto – ma in questi pazienti, ogni riacutizzazione rappresenta una nuova minaccia sistemica”.
Una morte che parla alla medicina
La morte di Papa Francesco non è solo un evento religioso e umano, ma anche un’occasione per riflettere dal punto di vista medico su come le patologie croniche e le infezioni acute interagiscono nel determinare l’esito clinico. È un caso che richiama l’attenzione sulla fragilità dell’equilibrio cardiorespiratorio e sull’importanza della medicina preventiva, della gestione delle cronicità e della ricerca scientifica.