Il Papa ai giovani: “Siete chiamati a essere albe di speranza”
In piazza Politeama l’incontro del Pontefice con i ragazzi siciliani: “Fate sorgere l’attesa di un futuro da figli liberi: non servi dimessi e manovali a capo chino, ma figli liberi”
Palermo – “La speranza sorgerà in Sicilia, in Italia, nella Chiesa a partire da voi. Per essere albe di speranza bisogna alzarsi ogni mattina senza a quella logica perversa secondo cui non c’è salvezza per questa terra. No! No al fatalismo e sì alla speranza cristiana. No alla rassegnazione. No al farci chiudere la bocca da chi vuole zittirci. C’è una missione da compiere, una vocazione da realizzare: essere portatori sani di speranza pasquale, albe di speranza”.
E’ l’augurio che Papa Francesco rivolge ai giovani siciliani, riuniti a migliaia in piazza Politeama, a Palermo, ultima tappa della visita del Pontefice in Sicilia, in occasione del venticinquesimo anniversario della morte del beato Pino Puglisi.
L’incontro assume fin da subito un tono cordiale: musica e applausi accolgono il Papa, che non si sottrae ai selfie. Quelle rivolte ai giovani sono parole che spronano i ragazzi ad impegnarsi “vivere” per abbattere quell’ “ecomostro” che è “il muro dell’omertà”, per dire “No” “alla mentalità mafiosa, all’illegalità e alla logica del malaffare, veleni corrosivi della dignità umana”, e ad ogni “ogni violenza”.
Come di consuetudine, l’incontro si svolge sotto forma di domande e risposte. Sono tre i quesiti che i giovani rivolgono al Pontefice, e toccano i temi dell’ascolto e dell’accoglienza. Infine, una domanda sul come vivere da giovani “in questa terra”.
Non si può credere in Dio ed essere mafiosi: chi è mafioso bestemmia con la vita il nome di Dio-Amore.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 15 settembre 2018
Sintonizzarsi con Dio
Alla prima domanda, Francesco risponde con un altro interrogativo: “La tua domanda era su come ascoltare la voce del Signore e maturare una risposta. Ma io domanderei: come si ascolta il Signore? Dove parla”.
E a braccio aggiunge: “Voi avete il numero del telefonino del Signore, per chiamarlo? Il Signore non si ascolta stando in poltrona”. Ma Dio, con la vita comoda, “in poltrona, non lo si ascolta”.
“Rimanere seduti, nella vita crea interferenza con la Parola di Dio, che è dinamica. Dio si scopre camminando. Se tu non sei in cammino per fare qualcosa, per lavorare per gli altri, per portare una testimonianza, per fare il bene, mai ascolterai il Signore”, spiega il Papa.
Nella Bibbia, fa notare il Pontefice, “il Signore chiama continuamente gente giovane, sempre. Ama parlare ai giovani mentre sono in cammino. Dio detesta la pigrizia e ama l’azione. I pigri non potranno ereditare la voce del Signore. Capito?”.
Poi, una precisazione: “Non si tratta di correre tutti i giorni per allenarsi. Si tratta di muovere il cuore, mettere il cuore in cammino. Il Signore parla a chi è in ricerca. Chi cerca, cammina. Essere in ricerca è sempre sano; sentirsi già arrivati, soprattutto per voi, è tragico. Capito? Non sentitevi mai arrivati, mai!”.
E a braccio aggiunge: “A me piace dire, riprendendo l’icona della poltrona, mi piace dire che è brutto vedere un giovane pensionato. Un giovane dev’essere in cammino, non in pensione. La giovinezza ti spinge a questo, ma se tu vai in pensione a 22 anni, sei invecchiato troppo presto!”. Quindi, Bergoglio passa poi a spiegare dove ascoltare Dio.
“Non sul telefonino: lì le chiamate del Signore non arrivano. Non in televisione, dove il Signore non possiede alcun canale. Neanche nella musica assordante e nello sballo che intontisce: lì la linea col cielo è interrotta. Il Signore non va neppure cercato davanti allo specchio, dove stando soli rischiate di rimanere delusi di quello che siete. Non cercatelo nella vostra stanzetta, chiusi in voi stessi a ripensare al passato o a vagare col pensiero in un futuro ignoto. No, Dio parla nel cammino e nella relazione con gli altri. Non chiudetevi in voi stessi, confidatevi con Lui. Capirete che Gesù crede in voi più di quanto voi credete in voi stessi. Vi ama più di quanto voi vi amate. Cercatelo uscendo da voi stessi, in cammino: Lui vi aspetta. Fate gruppo, fatevi degli amici, fate delle camminate, fate degli incontri, fate Chiesa così, camminando. Il Vangelo è scuola di vita, il Vangelo sempre ci porta al cammino. Credo che questo sia il modo di prepararsi per ascoltare il Signore”.
“Il Signore ti farà sentire cosa vuole da te, ma a patto che tu non stia seduto, che tu sia in cammino, che tu cerchi gli altri e cerchi di fare dialogo e comunità con gli altri, e soprattutto che tu preghi. Preghi con le tue parole: con quello che ti viene dal cuore. E’ la preghiera più bella”, aggiunge il Papa.
E ancora: “Gesù non vuole che rimani in panchina, ti invita a scendere in campo. Non ti vuole dietro le quinte a spiare gli altri o in tribuna a commentare, ma ti vuole in scena. Mettiti in gioco! Hai paura di fare qualche figuraccia? Falla, pazienza. Tutti ne abbiamo fatte tante, tante. Perdere la faccia non è il dramma della vita”.
Poi esorta: “Il dramma della vita invece è non metterci la faccia: quello è il dramma!, è non donare la vita! Meglio cavalcare i sogni belli con qualche figuraccia che diventare pensionati del quieto vivere – pancioni, lì, comodi –. Meglio buoni idealisti che pigri realisti: meglio essere Don Chisciotte che Sancho Panza!”.
La seconda domanda riguarda l’accoglienza del prossimo. “La vostra isola è un centro di incontro di tante culture… Io non conosco la Sicilia, è la prima volta – confida il Pontefice ricordando la sua visita a Lampedusa -. Voi siete un popolo frutto dell”incontro di culture e di persone”.
Ricorda che la Sicilia, che “è al centro del Mediterraneo, è sempre stata terra di incontro”. Questa non è solo “una bella tradizione culturale” ma anche “un messaggio di fede. La vostra vocazione sarà sicuramente essere uomini e donne di incontro”.
“Favorite gli incontri, perché il mondo di oggi è un mondo di scontri, di guerre. La fede si fonda sull’incontro con Dio. E nell’incontro fra noi, quanto conta la dignità degli altri? Dio vuole che noi ci salviamo insieme, non da soli, che siamo felici insieme, che ci salviamo come popolo”.
Da qui l’invito all’accoglienza: “Voi siete un popolo con un’identità grande e dovete essere aperti a tutti i popoli che, come in altri tempi, vengono da voi. Con quel lavoro dell’integrazione, dell’accoglienza, di rispettare la dignità degli altri. Questi sono i tratti distintivi di un cristiano”.
“Un cristiano che non è solidale, non è cristiano. La solidarietà è un tratto del cristiano. Quello che oggi manca, di cui c’è carestia, è l’amore: non l’amore sentimentale, che noi possiamo guardare nei teleromanzi, nelle telenovele, ma quello concreto, l’amore del Vangelo. E io vi dirò, a te e a tutti quelli che hanno fatto la domanda con te: come va il tuo amore? Come è il termometro del tuo amore?”.
E prosegue: “Noi siamo bravi a fare distinzioni, anche giuste e fini, ma a volte dimentichiamo la semplicità della fede. E cosa ci dice la fede? ‘Dio ama chi dona con gioia’. Amore e gioia: questo è accoglienza. Per vivere non si può solo distinguere, spesso per giustificarsi; bisogna coinvolgersi”.
Quindi, scherzando, a braccio, aggiunge: “Lo dico in dialetto? In dialetto umano: bisogna sporcarsi le mani! Avete capito? Se voi non siete capaci di sporcarvi le mani, mai sarete accoglienti, mai penserete all’altro, ai bisogni altrui”.
Esorta poi i giovani con le parole di Pirandello: “La vita non si spiega, si vive!”. E spiega: “Lasciamo le spiegazioni per dopo; ma vivere la vita. La vita si vive. E questo vale ancora di più per la vita cristiana: la vita cristiana si vive”. Come? Mettendosi al servizio degli altri.
“Quante volte vi trovate soli con quella tristezza, con quella solitudine? Questo è il termometro che ti indica che la temperatura dell’accoglienza, dello sporcarsi le mani, del servire gli altri è troppo bassa. La tristezza è un indice della mancanza di impegno, e senza impegno voi non potrete mai essere costruttori di futuro! Voi dovete essere costruttori del futuro, il futuro è nelle vostre mani! Pensate bene questo: il futuro è nelle vostre mani. Voi non potete prendere il telefonino e chiamare una ditta che vi faccia il futuro: il futuro devi farlo tu, con le tue mani, con il tuo cuore, con il tuo amore, con le tue passioni, con i tuoi sogni. Con gli altri. Accogliente e al servizio degli altri”.
Il Pontefice invita poi tutti i giovani siciliani ad essere “uomini e donne veri che denunciano il malaffare e lo sfruttamento”.
“Non abbiate paura di denunciare, di gridare! Abbiamo bisogno di uomini e donne che vivono relazioni libere e liberanti, che amano i più deboli e si appassionano di legalità, specchio di onestà interiore, che dicano no al gattopardismo dilagante”. E aggiunge: “La vita si fa nell’impegno, nella lotta, nella denuncia, nella discussione, nel giocare la propria vita per un ideale; nei sogni… Voi fate questo, e così va. Essere accoglienti significa essere sé stessi, essere al servizio degli altri, sporcarsi le mani”.
Come vivere l’essere giovani in terra di Sicilia era la terza domanda. “Mi piace dire che siete chiamati a essere albe di speranza. La speranza sorgerà a Palermo, in Sicilia, in Italia, nella Chiesa a partire da voi. Voi avete nel cuore e nelle mani la possibilità di far nascere e crescere speranza”, è la risposta del Pontefice.
Che spiega: “Per essere albe di speranza bisogna alzarsi ogni mattina con cuore giovane, speranzoso, e lottare per non sentirsi vecchi, per non cedere alla logica dell’irredimibile. E’ una logica perversa: questo non va, non cambia nulla, tutto è perduto… Questa è una logica perversa, è il pessimismo, secondo cui non c’è salvezza per questa terra, tutto è finito. No!”.
“No al fatalismo, no al pessimismo, sì alla speranza, sì alla speranza cristiana. E voi avete nelle mani la capacità di fare la speranza, di fare andare avanti la speranza”, sprona Francesco.
Ma come fare per “cambiare tutto? “Chi devo chiamare? Al tuo cuore, ai tuoi sogni, alla tua capacità di uomo, di donna di portare avanti un frutto. Di generare, come genererai un figlio o una figlia domani, anche una civiltà nuova, una civiltà accogliente, una civiltà fraterna, una civiltà dell’amore. Tutto può cambiare!”.
E dopo aver parlato del futuro, “Voi siete la speranza”, e del presente, “Voi avete la speranza nelle vostre mani, oggi”, il Pontefice invita i giovani a guardarsi indietro, a cercare le proprie radici:
“Prima ho parlato di giovani in poltrona, di giovani in pensione, di giovani quieti che non si mettono in cammino. Adesso ti domando: tu sei un giovane con radici, o sradicato? Abbiamo parlato di questa terra di tanta cultura: ma tu sei radicato nella cultura del tuo popolo? Tu sei radicato nei valori del tuo popolo, della tua famiglia? O sei ‘gassoso’, senza fondamenti, senza radici?”.
Le radici, sottolinea Bergoglio, si ritrovano nella cultura e nel dialogo con gli altri, soprattutto con gli anziani: “Ascoltate i vecchi. Litigate con i vecchi, perché se tu litighi con i vecchi, loro parleranno più profondamente e ti diranno cose. Loro devono darti le radici, radici che poi produrranno speranza che fiorirà nel futuro. Diversamente, ma con radici. Senza radici, tutto è perduto: non si può andare e creare speranza senza radici”.
Il Papa non pretende che i giovani facciano le stesse cose degli anziani, bensì da loro devono prende “la forza, l’appartenenza. Un giovane che non ha appartenenza in una società, in una famiglia, in una cultura, è un giovane senza identità, senza volto. In tempo di crisi dobbiamo sognare, dobbiamo metterci in cammino, dobbiamo servire gli altri, dobbiamo essere accoglienti, dobbiamo essere giovani di incontro, dobbiamo essere giovani con la speranza nelle mani, con il futuro nelle mani e dobbiamo essere giovani che prendono dalle radici la capacità di far fiorire speranza nel futuro”.
Mi piace vedervi qui, nella Chiesa, portatori gioiosi di speranza, della speranza di Gesù che supera il peccato. Io non vi dirò che voi siete santi, no. Voi siete peccatori, tutti, come me, come tutti. Ma è la forza di Gesù che supera il peccato e ti aiuta ad andare avanti. La speranza che supera la morte. Sogniamo e viviamo la cultura della speranza, la cultura della gioia, la cultura dell’appartenenza a un popolo, a una famiglia, la cultura che sa prendere dalle radici la forza per fiorire e portare frutto.
Infine, una benedizione particolare per i giovani presenti. Il Papa sa che in mezzo alla folla ci sono anche ragazzi di altre tradizioni religiose e diversi agnostici: “Per questo darò la benedizione a tutti, e chiederò a Dio che benedica quel seme di inquietudine che è nel vostro cuore”. La preghiera viene formulata a braccio:
Signore Dio, guarda questi giovani. Tu conosci ognuno di loro, Tu sai cosa pensano, Tu sai che hanno voglia di andare avanti, di fare un mondo migliore. Signore, rendili ricercatori del bene e di felicità; rendili operosi nel cammino e nell’incontro con gli altri; rendili audaci nel servire; rendili umili nel cercare le radici e portarle avanti per dare frutti, avere identità, avere appartenenza. Il Signore Dio accompagni tutti questi giovani nel cammino e benedica tutti. Amen.
(Il Faro online) – Foto © Vatican Media