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Il Graal di #Ardea

9 luglio 2017 | 21:20
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Il Graal di #Ardea

Viaggio nella storia di Ardea, tra mito e verità

Chretien de Troyes, un chierico che visse presso le Corti feudali della Provenza nel XII secolo, morì nel 1190 lasciando incompiuta la sua maggiore opera Le Roman de Perceval ou le conte du Graal.

A lui seguì Wolfram von Eschenbach, cavaliere alla corte di Turingia, il quale intorno al 1210 compose il Parzival.
Il primo poeta non precisa quale forma abbia il Graal. Nel racconto del banchetto dove viene descritto l’episodio della sua apparizione tra i convitati, dice semplicemente “un graal tra le sue due mani / una damigella teneva” e si limita ad accennare alle gemme incastonate nel misterioso oggetto d’oro che emana una luce abbagliante.
Il secondo scrittore afferma che è una pietra magica, il lapis exillis, la quale in virtù della sua sola presenza materializza sulla tavola ogni cosa che si possa desiderare e non solo.

Altri poeti dopo il 1191 si cimentarono con l’incompiuto di Chrétien: Wauchier de Denain, Manessier e Gerbert de Montreuil ed è in queste continuazioni che il Graal inizia a configurarsi come “Santo Calice”.

Ma è Robert de Boron, nel suo poema Joseph d’Arimathie composto tra il 1170 ed il 1212, a precisare che il Graal costituisce la coppa utilizzata nell’Ultima Cena dal Nazareno e come Giuseppe di Arimatea, recuperatala dopo il banchetto, vi raccoglie le gocce di sangue sgorgate dalla ferita nel costato prima della Deposizione.
Il medesimo Giuseppe in seguito l’avrebbe condotta con sé nel viaggio per mare dal Medio Oriente alla Provenza e dalla Francia nelle Isole Britanniche, fondando in questi luoghi la prima Chiesa cristiana a Glastonbury: la leggendaria Avalon del futuro Re Artù.

Un’altra versione afferma che fu Myriam di Magdala, la famosa Maddalena, a condurre il sacro boccale, sempre per mare, dall’oriente fino a Marsiglia in compagnia dell’Arimateo e tra gli altri: suo fratello Lazzaro, sua sorella Marta, la serva Martilla, Massimino e Cedonio. Questa tradizione è sostenuta nella “Vita di Maria Maddalena”, opera pubblicata intorno al IX secolo da Rabanus Maurus Arcivescovo di Mainz, l’attuale Magonza.
In seguito, con Jacopo da Varagine, nella sua “Legenda Aurea” scritta nel 1260, il racconto viene ampliato e impreziosito di dettagli.

Ma la rilevanza e la continuità del mito Maddalena/Graal durante il Medioevo, viene attestata anche dalle numerose effigi della “compagna” di Gesù che la ritraggono con bicchieri e pissidi di ogni tipo, e dalle scene agiografiche effigiate in numerose Chiese rupestri lungo gli itinera dei pellegrinaggi; mirabile il ciclo di affreschi di Giotto nella Capella di Assisi a lei intitolata.

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