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Il Graal di #Ardea

9 luglio 2017 | 21:20
Il Graal di #Ardea

Viaggio nella storia di Ardea, tra mito e verità

La presenza del Graal nell’affresco dell’Oratorio Ipogeo di Ardea richiede una lettura ben più profonda della sua pregevole ma superficiale analisi pittorica.

La grammatica e la sintassi dei simboli esoterici non rispettano i canoni della scienza archeologica e della storia dell’arte, anzi debbono eluderne le regole in maniera scaltra e smaliziata se vogliono riconoscere e focalizzare indizi di particolare significato misterico camuffate e criptate nelle allegorie del dipinto.

Al centro della volta dell’arcosolio c’è un inconfondibile topos iconografico: l’Agnus Dei che, in questo caso, sanguina in un calice posizionato ai suoi piedi.

Le Sacre Scritture del Vecchio Testamento e l’iconografia sacra cristiana del primo medioevo sono sature di citazioni e rappresentazioni del Santo Agnello.

Non è invece frequente che questi sia affiancato dalla coppa con il vino/sangue dell’ultima cena.
Il motivo è che soltanto nel Nuovo Testamento questo topos acquisisce un significato salvifico di particolare importanza, assommando la trasposizione allegorica di due precisi eventi strettamente legati al dogma della morte/resurrezione dell’uomo/dio Gesù Cristo: la Transustantazione dell’Ultima Cena e la ferita nel costato inferta dalla lancia del soldato romano Longinus.

Tutti gli Apostoli dei Vangeli Canonici attestano ed evidenziano questi episodi con formulazioni similari, ma è soltanto nel Vangelo apocrifo di Nicodemo, dove si afferma come Giuseppe di Arimatea recupera la coppa dell’ultima cena e la utilizza per raccogliere il sangue della Crocifissione, che il tandem Agnello/Calice assume il potere di redenzione e di grazia per tutti i Cristiani di ogni tempo a venire.

Se concordiamo con la datazione acclarata dalla maggior parte degli studiosi, gli affreschi sopravvissuti vennero eseguiti dopo la citata Bulla pontificalis di Anacleto II e quindi a metà del XII secolo. Ciò vuol dire che il famoso clipeo istoriato sotto La Rocca contiene la prima esecuzione pittorica dell’Agnus Dei che sanguina in un calice: il Santo Graal!

E questo prima che Chretien de Troyes lasciasse incompiuto il suo capolavoro letterario, nel quale comunque ancora non si parla della coppa salvifica, e dei successori vati della Vulgata Cavalleresca, i quali, alla sua dipartita, si cimentarono a completare il suo “Le Roman de Perceval ou le conte du Graal”.

Forse i Benedettini conoscevano l’opera di Boron: il poeta che per primo comincia a parlare del Santo Calice?
Sarebbe interessante approfondire l’argomento, ma la questione è un’altra.

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