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Euro 2020, l’esame di maturità della Generation Z

10 giugno 2021 | 16:28
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Euro 2020, l’esame di maturità della Generation Z

Ventiquattro giovani stelle per 24 nazionali. Una carica di gioventù chiamata a dimostrare di essere pronta per il grande calcio.

Roma – Beppe Bergomi vinse i Mondiali a 18 anni ma pochi giovani lo sanno. E non tanto per gli anni passati dall’impresa di Spagna 82, ma perché a rivedere le foto di allora, la futura bandiera dell’Inter tutto appariva fuorché un diciottenne. Capelli folti, baffoni da uomo maturo e un azzeccato soprannome (“lo zio”) che lo avrebbe accompagnato per il resto della carriera. Il prototipo del giovane calciatore di allora: sobrio nello stile così come sul campo. Il paragone con il calcio di oggi non reggerebbe, è ovvio. Il fashion style non solo è cambiato ma oggi è quasi un mantra. E i giovanissimi calciatori del Duemilaventi non possono essere paragonati a quelli dei gloriosi anni 80. Di mezzo non c’è una generazione, ma forse due o tre. Perché i tempi cambiano ma più velocemente rispetto a qualche anno fa. E i ragazzi del calcio del terzo decennio del Duemila viaggiano su altri standard, oltre che a velocità doppia sul campo.

Eppure sempre di giovani si tratta, attratti dalla possibilità di giocare un’importante rassegna internazionale non solo per avere un bel post da piazzare su Instagram. Il fascino del grande calcio, la deriva business assunta da fine anni Novanta in poi non lo può intaccare del tutto. La possibilità di disputare un torneo come il Campionato europeo, in fondo vale più di un contratto o di qualche migliaio di follower. Forse a questi livelli non ci siamo ancora.

Ma che l’Europeo possa essere una vetrina per la rete del mercato, quello sì. Lo è sempre stato. Basti pensare alla fila che ci fu per accaparrarsi i talenti greci che, nel 2004, portarono a sorpresa la nazionale ellenica sul tetto d’Europa (i vari Zagorakis, Seitaridis, Charisteas). Senza contare quanti giovani, proprio all’Europeo, debbano la loro ascesa nel grande calcio. Cristiano Ronaldo, per dirne uno, ma anche Wayne Rooney e Fernando Torres. Giovani stelle, consacrate dal palcoscenico continentale. Un torneo che allora richiedeva ben più che una comparsata: molto più breve e con la prospettiva di avere pochissime partite per mettersi in mostra, non era strano che uscisse fuori qualche bella sorpresa, come la mitica Danimarca del ‘92. L’estensione a 24 squadre e una formula che prevede addirittura il ripescaggio delle migliori terze, offre qualche possibilità in più. E nel calcio di questi tempi qua, avere diciotto anni conta ancora meno che nel 1982. I ct lo sanno e la schiera della Generation Z non poteva essere più agguerrita. L’esame di maturità, in questa caldissima estate a braccetto con la pandemia, per loro sarà anche sul campo.

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