Concorso letterario dedicato a Italo Calvino: premiati 4 studenti dell’Istituto Paolo Baffi
Toccanti gli elaborati che hanno vinto ad “Un sognatore innamorato della realtà – Raccontare Italo Calvino a cento anni dalla sua nascita”, il concorso organizzato dal X Municipio
Ostia, 4 gennaio 2024 – Una grande soddisfazione e motivo d’orgoglio per tutto l’istituto scolastico: è stata una giornata emozionante quella del 20 dicembre 2023, al Teatro del Lido di Ostia, dove alla presenza di centinaia di studenti delle scuole secondarie del X Municipio, si è svolta la cerimonia di premiazione delconcorso letterario “Un sognatore innamorato della realtà – Raccontare Italo Calvino a cento anni dalla sua nascita”, indetto dal X Municipio di Roma, al quale anno partecipato dei giovani studenti dell’IIS Paolo Baffi di Fiumicino.
Il compito per alunni e insegnati non è stato così semplice, perché il tempo per soffermarsi sulla produzione di Calvino, riflettere sulle tematiche proposte e produrre elaborati pertinenti è stato davvero poco. Ciò nonostante la giuria, composta da intellettuali di indiscussa fama, tra cui il presidente Gianni Maritati e professionisti quali il prof. Luigi Saito, la presidente del X Municipio Dott.ssa Giampaola Pau, il prof. Luigi Di Siena, il Prof Donato Di Stasi e diversi altri, ha deciso di premiare ben quattro allievi dell’IIS Paolo Baffi di Fiumicino.
Le categorie
Le categorie su cui cimentarsi erano tre, ispirate ad altrettante tematiche della produzione calviniana: “Città invisibili”, “Se una notte d’inverno…..”, “Racconti di mare”. Per ognuna di queste tematiche erano previsti tre vincitori per la scuola secondaria di secondo grado e altrettanti per quella di primo.
I ragazzi premiati
La mattina del 20 dicembre, dopo aver preso posto al Teatro del Lido, studenti, professori e autorità sono stati accolti dalle calde note suonate al sassofono da Nicola Alesini che, ispirandosi a racconti delle “Città invisibili”, ha aperto i lavori emozionando la platea. In seguito l’assessore Margherita William, che non manca di sottolineare di essere stata allieva all’Enriques, ha subito proceduto con la premiazione e per noi è stata una grande emozione, infatti la giuria si è così espressa nei riguardi dei studenti dell’Istituto Paolo Baffi:
1^ classificato per la tematica “Le città invisibili” – Andrea Perugini (4GL);
1^ classificato per la tematica “Racconti di mare” – Asia Tedde (1LL);
2^ classificato categoria Racconti di mare – Anita Sarkanych (2HL);
3^ classificato categoria Se una notte d’inverno – Vittoria Esposito (1HL)
I ragazzi premiati hanno ricevuto targhe, corsi di inglese e premi in denaro, ma il più grande dono per il pubblico è stato quello di ascoltare i racconti, classificati primi, dalla viva voce dei propri autori. I testi sono stati tutti emozionanti, ma quello autobiografico di Andrea Perugini ha commosso fino alle lacrime tutto il pubblico presente, trasmettendo ai giovani un messaggio di grande coraggio e di forza d’animo (proprio come ricorda il titolo del suo testo “Andreia”) e un invito accorato a lottare per essere sempre sé stessi.
Iniziative come questa si rivelano sempre una grande opportunità di crescita per alunni e insegnanti e consolidano il legame tra istituzioni e territorio attraverso produzione di cultura. L’Istituto Paolo Baffi ringrazia, quindi, il X Municipio e le associazioni Observo APS, Arteka, che hanno collaborato all’organizzazione dell’evento, che hanno dato questa opportunità di lavorare attraverso una didattica più stimolante.
Di seguito gli elaborati con cui gli studenti hanno partecipato al concorso
1^ classificato tematica “Le città invisibili”- Andrea Perugini 4 GL
Aνδρεία
«Rilassati. Raccogliti, Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto…»
Mi interrogo spesso sul perché delle cose. Esistono così tante persone al mondo e siamo tutti così diversi uno dall’altro. Non riesco a spiegarmi perché io sia così o perché Lollo sia così. Io a Lollo non ci somiglio neanche un po’. Sono proprio tutt’altra persona rispetto a lui, non sembriamo neanche fratelli.
Lui è alto e io no; lui gioca a calcio e io no (perché mamma e papà non vogliono); lui ha tanti amici e io no (perché sto sempre con le femmine anche se mi annoio); lui si mette sempre delle magliette bellissime con dei pantaloni super fighi e io no. Mamma e papà mi comprano sempre vestiti che non mi piacciono e che mi prudono. Non so perché, ma prudono, li metto e inizio a grattarmi come se avessi le pulci addosso. Papà vuole sempre farmi mettere calze, vestiti e ballerine. Mamma insiste sempre nel farmi crescere i capelli, farmi vestire con abiti femminili e ancora una volta -non so perché- non riesco a farli contenti. Non ci riesco proprio; ci provo, davvero, e con tutte le mie forze, ma non ci riesco.
Passo tantissimo tempo davanti allo specchio mentre indosso i vestiti che mi comprano loro, ma più guardo il mio riflesso e più non mi riconosco, più guardo quei vestiti e più si stringono attorno al mio corpo come se fossero vivi e volessero uccidermi.
Guardo gli altri bambini e penso che vorrei essere come loro, che vorrei avere anche io il loro grembiule blu, i capelli corti corti come ce li hanno loro, uno dei loro nomi, anche semplicemente per qualche ora o qualche giorno per provare come sarebbe bello essere un bambino, per vedere se Alessandro, Daniele e tutti gli altri sono davvero così o quando tornano a casa cambiano e sono tristi anche loro.
Non ho mai detto a nessuno questa cosa, che vorrei essere come i bambini e avere il loro grembiule blu.
A volte parlo con Federica, la mia migliore amica, e le dico che da piccolo ero nato maschio, ma poi per alcuni problemi fisici sono uscita Sofia: lei si mette a ridere perché dice che non può essere vero. Altre volte invece le dico che, finita scuola, torno a casa e divento “Sofìo” perché solo i bambini possono vedermi con il grembiule rosa, i grandi no.
Invento un sacco di bugie. Dico tante cose che non sono vere. Mamma mi rimprovera sempre, infatti. Ma io non ci posso fare proprio niente, è più forte di me.
Mi piace raccontare cose che vorrei aver fatto, mi piace anche raccontare agli altri che sono un bambino, non so perché, ma mi piace.
Vorrei solo capire se quello che provo, lo sento solo io, o se esistono altri bambini che non sanno bene chi sono. Vorrei trovare un libro con tutte le risposte alle mie domande, per leggere cosa c’è che non va in me.
Ogni tanto qualcuno mi scambia per un bambino, perché ho da poco tagliato i capelli e metto sempre i vestiti vecchi di Lollo che mi fanno sentire forte ed invincibile. Qualche giorno fa ero in farmacia con mamma, perché ho un po’ di tosse e dovevamo prendere uno sciroppo per la gola, ed il signore in cassa mi ha guardato e poi mi ha detto “Ma che bel bambino! Come ti chiami?”. Mi sono sentito grandissimo, grande come la Terra intera e poi subito piccolissimo. “È mia figlia! Si chiama Sofia” ha risposto mia madre.
Cosa mi aspettavo? Perché ci ero rimasto male? È solo il mio nome, perché mi fa questo effetto? Perché ci resto sempre così male quando lo sento? Eppure è un bel nome, papà me lo dice sempre, “Significa «Sapienza», è un nome molto importante”.
Mi piacerebbe avere un altro nome. Un nome forte, bellissimo. Un nome che quando lo senti, dici proprio “Wow! Ti sta proprio bene!”. Un nome che possa rendermi felice. Un nome in grado di darmi coraggio, forza e speranza. Un nome tutto mio, mio e solo mio, perché forse con un nome che sento davvero mio, anche io inizierei a sentirmi davvero me stessa. Me stesso, in realtà.
1^ classificata Tematica “Racconti di mare”, testo di Asia Tedde 1 LL
Nel fondo del mare vivono migliaia di specie diverse, pesci, calamari, polipi di tutti i colori, ma negli abissi vivono anche delle creature dotate di un’intelligenza superiore, e di una bellezza sovrannaturale.
La loro specie non ha nome, nessuno li ha mai visti. Sono creature dotate di lunghi tentacoli colorati al posto degli arti, la loro pelle è stracolma di colori diffusi come pitture africane, i loro capelli sono lunghi e luminosi e i colori dei loro occhi sono speciali e luccicanti.
Come ho detto nessun essere umano ha mai visto una di queste creature, e nessuna di queste creature ha mai visto un essere umano.
In una tribù nelle vicinanze di un vulcano marino attivo, viveva Lewa, una bimba curiosa ed energica.
Lewa viveva insieme a suo nonno che le parlava sempre della superfice e di quello che la abitava, Lewa da brava bambina curiosa un giorno chiese al nonno: “nonno, perché non andiamo in superfice?”
Il nonno rise un poco e subito rispose: “oh Lewa, cara mia. La superfice è tanto magnifica quanto pericolosa. Non posso permettere che tu ti faccia del male, o peggio.”
Lewa arricciò le sopracciglia e sbuffò, poi ribbattè: “ma io voglio scoprire cosa si cela li su! Voglio delle risposte!”
Il nonno si incupì un poco ma rispose con voce calma: “Lewa, bambina mia, a volte ci sono domande a cui non vanno date delle risposte. Adesso mangia un po’ di alghe fresche, le ho colte appositamente per te.”
Lewa annuì, ma non si rassegnò.
Passo gli anni che seguivano a prepararsi per andare a esplorare la superfice, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Così la piccola Lewa diventò più grande, e all’età di 20 anni, quando suo nonno morì, decise di andare all’avventura ed esplorare finalmente la superfice.
Ormai pronta a partire salutò i pochi abitanti della sua piccola tribù, e ammirò per l’ultima volta il maestoso vulcano sottomarino.
Lewa percorse miglia senza fermarsi, incontrando mille avversità, come un polpo gigante che cercò di portarla nella sua tana, o una medusa poco sveglia che rischiò di fulminarla viva, ma nonostante tutte lei non tornò indietro e continuò con la sua avventura.
Passate ormai diverse settimane, Lewa si avvicinò sempre di più alla superfice, ed era sempre più vicina alla verità che si celava dietro ai racconti di suo nonno.
Decise però di fermarsi per la notte, senza mai abbassare la guardia, tenendo d’occhio le diverse creature dell’oceano.
Guardandosi intorno si rese conto che i pesci che vedeva erano diversi da quelli degli abbissi, alcuni erano meno colorati e più piccoli, altri coloratissimi, altri ancora con forme che non aveva mai visto, si rese conto che c’erano anche delle creature di cui il nonno le aveva raccontato.
Lewa riprese il cammino alle prime luci dell’alba che si iniziavano ad intravedere attraverso le tende sottili dell’acqua limpida, iniziò ad accelerare, e accelerare, e accelerare, finchè…
La testa di Lewa sbucò dall’acqua, socchiuse gli occhi per il troppo sole, sentì odori e suoni che non aveva mai sentito: l’acqua che si scagliava sugli scogli, i gabbiani che starnazzavano, e poi sentì una voce maschile.
Era la voce di un ragazzo che passava su quella spiaggia in quel preciso momento, proprio di fronte a Lewa.
Il ragazzo guardò Lewa e spalancò gli occhi, venne rapito dalla sua stravagante bellezza, non aveva mai visto una creatura così strana.
Anche Lewa era al quanto scioccata, era strano vedere una creatura simile a lei ma con colori più spenti e senza tentacoli.
Dopo qualche minuto di silenzio e sguardi sbalorditi, il ragazzo decise di allungare la mano così che Lewa potesse prenderla, con un sussurro disse: “afferrala”
Appena Lewa sfiorò la mano candida del ragazzo, i suoi tentacoli divennero braccia e gambe, i colori sgargianti e innaturali divennero più umani.
Lewa si trasformò in una vera e propria donna.
Così spiegò al ragazzo da dove veniva e cosa era venuta a fare in superfice, gli disse che voleva vedere i luoghi di quel nuovo mondo e conoscere le creature che lo popolavano. Il ragazzo si offri di accompagnarla in quel grande viaggio.
Si incamminarono verso il paesino dove viveva il ragazzo, più si avvicinavano e più Lewa era sbalordita, c’erano fiori colorati e milioni di negozietti, la piazza era stracolma di persone tra: bambini che giocavano a anziani che ridevano, le luci degli appartamenti e gli odori dei cibi tradizionali.
Lewa voleva assaggiare tutto, parlare con tutti e partecipare a mille attività, adorava la superfice e si promise di provare tutte le cose che voleva provare.
Passato qualche mese, Lewa si stava ambientando, aveva imparato molte cose, come: disegnare, giocare a pallone, cucinare le ciambelle, aveva anche assaggiato moltissimi piatti, ad esempio: la parmigiana di melanzane, la pasta al forno, tante cose dolci come i cornetti con il pistacchio.
Lewa aveva anche deciso di iniziare la scuola, aveva un tutore privato che le stava insegnando a scrivere e a leggere, le piaceva la scienza soprattutto l’astronomia.
Aveva persino fatto amicizia con molti abitanti, e nessuno sapeva nulla dei suoi tentacoli o della sua pelle colorata, solo quel ragazzo dagli occhi verdi e i capelli castani sapeva la verità, lui era il suo migliore amico in assoluto, era la persona che la aveva aiutata di più in quel paesino, che la portava a scoprire nuove tradizioni e che la supportava in ogni passo.
Ecco, Lewa era mia madre e quel ragazzo dai capelli castani è mio padre.
Mia madre e mio padre si sono sposati in una piccola parrocchia in un paesino della Sicilia, e da quel momento non hanno mai smesso di sognare in grande, mia madre è a capo di un salone di bellezza, dove fa la parrucchiera, e invece mio padre fa il professore in una prestigiosa scuola universitaria.
Lewa è rimasta e rimarrà sempre quella bambina curiosa che si era messa in testa una cosa ed è riuscita a farla senza arrendersi.
Mi racconta sempre del nonno, mi dice che era un tipo bizzarro, ma gentilissimo, e che è per lui che ha fatto tutta questa strada.
Poi ci sono io. Chi sono io? Beh questa è un’altra storia.
2^ classificata tematica “Racconti di Mare”, testo di Anita Sarkanich 1 HL
Nel mare di Ostia, un mondo incantato, dove l’orizzonte si fonde con l’acqua d’argento. Le onde si infrangono con dolce melodia, raccontando storie di vita e armonia. Le spiagge dorate, solcate da passi leggeri, raccontano di gioie estive e ricordi sinceri.
Gabbiani svolazzano in cieli vastissimi, in un balletto libero, leggero e infinito. I bagnanti si abbandonano alla dolcezza, del mare che accarezza donando serenità. I pescatori scrutano l’orizzonte con attesa, sognando catture generose.
Le conchiglie custodiscono segreti antichi, tesori di mare, ricordi e sogni nascosti. E nel profondo, creature senza tempo ballano e nuotano, libere e impavide.
Il mare di Ostia, un’ode alla bellezza, in cui l’anima si perde in dolci carezze. Un riflesso di cielo, un abbraccio profondo, che risuona nell’essenza di ogni secondo.
In questo universo marino, silente e vasto, i racconti si intrecciano senza sosta. Il mare di Ostia, fonte di ispirazione, dove si respira la vera essenza della creazione.
3^ classificata, tematica: “Se una notte d’inverno”, testo di Vittoria Esposito 1 HL
Se in una notte d’inverno Marta non fosse stata colpita da quella musica, la sua vita non sarebbe cambiata.
Era il 22 dicembre, alle ore 23:00 circa e Marta, una ragazza che studiava in Accademia Nazionale Di Danza, durante alcune prove per uno spettacolo, vide la sala più importante della scuola con le luci accese, all’inizio neanche ci fece tanto caso, continuò a provare perché pensava che ci fossero gli altri corsi, ma durante i cinque minuti di pausa, sentì una melodia particolare, un suono molto dolce che la incuriosì così, insieme alla sua amica Matilde, decise di andare a vedere cosa c’era in quella sala, ma proprio in quel momento, dovettero ritornare ad esercitarsi.
Durante le loro prove, sia Marta che Matilde, non riuscivano a concentrarsi, erano distratte e pensierose, e per questo che ci impiegarono più tempo. Solo verso mezzanotte e trenta, il coreografo le congedò. Era davvero molto tardi, ma non potevano lasciar sfumare quella musica, senza vedere chi stesse ballando. Si avvicinarono silenziosamente alla sala e videro una ragazza con un velo intorno alla testa, di carnagione scura e con dei vestiti particolari. Le ragazze le volevano parlare, ma Matilde doveva rincasare e così se ne andò. Marta rimase sola ma decise comunque di andare a conoscere quella ragazza così misteriosa. Il primo approccio fu molto timido, ma alla fine il ghiaccio fu rotto dal “Ciao” della ragazza misteriosa, si presentarono, la ragazza si chiama Jamila, dopo la presentazione iniziarono a parlare in inglese perché Jamila non conosceva bene l’italiano, continuarono a lungo come se si conoscessero da molto tempo, però si fece troppo tardi e quindi Marta la salutò dicendole che si sarebbero potute vedere il giorno dopo.
Nei giorni successivi Marta e Jamila presero ancora più confidenza, parlarono ogni giorno di più, Marta le chiese perché stesse lì, Jamila le disse che veniva dalla Palestina, la sua passione era ballare ma c’era la guerra quindi lei voleva andare via per intraprendere il suo sogno.
Iniziò ad allenarsi tutti i giorni anche se non aveva molte possibilità economiche, ma un giorno le arrivò una chiamata da un numero mai visto, rispose e le dissero che le volevano regalare una borsa di studio in Accademia, pianse dalla felicità ed accettò senza neanche pensarci.
Una settimana dopo salutò tutti e prese il primo aereo disponibile per Roma. Arrivò e l’accolsero tutti benissimo, perché erano onorati di avere nella scuola un talento come lei.
Iniziarono a lavorare subito e decisero che doveva fare la protagonista per lo spettacolo che stavano preparando.
Marta era molto felice e onorata, chiese a Jamila di farle vedere qualche variazione che aveva preparato e così fece. Appena finì, Marta si emozionò, le chiese come aveva fatto a diventare così brava senza mai studiare in una scuola e Jamila le raccontò che aveva una casa molto piccola dove non riusciva a danzare, così aspettava che tutti si addormentassero per arrampicarsi sul tetto, dove si faceva trasportare dai rumori esterni e dall’immaginazione, e ballava, ballava, ballava, fino a notte inoltrata, fino a quando le sirene non l’avvertivano che doveva rientrare velocemente, a causa dei numerosi e pericolosi attacchi che facevano in Palestina.
La danza era l’unico motivo per il quale Jamila si svegliava ogni mattina con un sorriso smagliante, e tutti i pensieri negativi svanivano nel nulla.
Inoltre Jamila non aveva amici nel suo paese perché tutti la prendevano in giro, dicendo che non avrebbe mai realizzato il suo sogno; ma per la prima volta nella sua vita vide in Marta una ragazza speciale, l’unica che riusciva a capirla e che la incoraggiava a non arrendersi mai e più i giorni passavano, più il loro rapporto si stringeva e così Marta decise di presentare Jamila alla sua famiglia, sua mamma rimase molto contenta di questa nuova amicizia di sua figlia, e decise di ospitarla a casa sua, perché Jamila viveva in un piccolo appartamento per il quale pagava molto rispetto alle sue possibilità economiche; inizialmente non voleva accettare ma la mamma e in seguito anche Marta insistettero, e così Jamila andò a vivere con loro ed entrambe inseguirono il loro sogno di danza insieme.